giovedì 6 febbraio 2014

Vaneggiamenti di una sera di inizio febbraio, aspettando le tenebre




Non è altro che un percorso. Un lungo percorso, la vita, ma breve, a pensarci. Si nasce, ignari di ciò a cui si sarà esposti. Si nasce e si viene portati a credere che la vita è unica, speciale, differente per ognuno. Lo scopo è sempre lo stesso, però. Procreare, dare altra vita. Tanto che ci si chiede cosa accada dopo aver donato un pezzo di sé stessi ad altri individui. E tale scopo non viene ascoltato solo dall'animo del genitore, ma anche da chi non lo sarà mai. Amando altre persone, preoccupandosi per il prossimo, cercando il buono in sé stessi e in altri, provando un sentimento che oltrepassa il proprio ego. Non servono pezzi di dna per raggiungere lo scopo che la nascita ha donato all'uomo. Ma la domanda vera è: cosa accade dopo? Dopo aver provato l'amore puro, il sentimento perfetto, quello in grado di muovere massi, il proprio io che fine fa? Dove va a finire la propria identità? Sarà perduta per sempre? Ci sarà, ma vivrà nascosta sotto gli strati del nuovo essere che ha preso le sembianze dell'individuo adulto? Oppure sarà presente, semplicemente arricchito, come una sorta di macchina base dotata di optional? Non è forse vero che, a volte, un individuo perda il lume della ragione, non riconoscendo più ciò che l'ha aiutato a divenire quel che è divenuto, nel tempo? Non è forse vero che in alcuni è forte il desiderio di regredire ai tempi in cui era possibile solo ascoltare sé stessi, completamente ignari del futuro? Si vive nella costante ricerca di una metà da amare. Lo scopo della vita parte anche da questo: trovare la metà adatta a procreare. Conoscendo l'amore, nell'età adolescenziale, si percepisce la sensazione che quello sarà l'unico motivo che muoverà i passi del proprio corpo, da quel momento in poi. Ma il sentimento evolve, si tramuta in desiderio di essere ancora più uniti. Dall'unione spirituale si passa a quella carnale, per dar vita, infine, a quel che tutti considerano essere la gioia più grande. Un figlio. E lo è, la gioia più grande. Si riconosce un nuovo tipo di amore, ma questo non è possibile se prima non si sono compiuti i passi adatti, per non implodere, per non esplodere. Come accade. Sovente. Riflessione. Ci vuole riflessione. Donare la vita non è semplice, non è un meccanismo puramente fisico. È facile, nella natura, creare. Più difficile accettare il cambiamento che esso comporta. Più difficile ancora accettare che la creatura a cui si è donato la vita non sia il proprio specchio, ma un vetro grezzo a sé stante. Un piccolo pezzo di vetro, pronto a essere modellato, fortificato, con la capacità di crescere nel tempo. Un pezzo di vetro grezzo con una propria identità, ma pur sempre facente parte del vetro madre. E padre. Il tempo. Manca il tempo utile. Ogni essere umano necessiterebbe di una vita intera solo per comprendere il proprio animo, un'altra per essere pronti allo spettacolo della vita. Un'ulteriore per creare una vita mediante l'esperienza accumulata. Queste tre vite sono compresse nelle tre stagioni dell'essere umano, ma non sono sufficienti. E a volte non bastano. Non bastano per comprendere l'universo devastante e infinito che è un neonato, che è un figlio adulto, che è un amico bisognoso d'affetto, o semplicemente uno sconosciuto giunto sul proprio cammino. La vita, a volte, non basta per comprendere in pieno lo scopo che racchiude in sé. Ma il percorso, nel tempo, serve a tentare di indagare. E capire. E amare. Amare chiunque, indistintamente. Anche sé stessi. Soprattutto gli altri. E sarà, allora, come morire e rinascere, per morire e rinascere ancora. È bello pensare che chi non ha avuto questa possibilità è stato erudito in un universo parallelo. E magari sarà così anche per chi, invece, le tre stagioni della vita le passerà tutte. E magari ci si incontrerà tutti, dopo, senza vincoli parentali, senza sotterfugi o rancori. Magari sarà possibile accedere a una luce intensa, colma solo della conoscenza ancora negata. Perché ancora non è dato di comprendere lo scopo puro della vita, solo di intuirlo. Intuirlo e vivere di quella percezione.    

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