martedì 25 marzo 2014

La recensione a L'Inferno di Rebecca a cura di Vittorio Xlater

rebecca
In teoria non dovrebbe esserci bisogno di assegnare un romanzo a un genere. Un autore scrive quello che si sente di scrivere, e non serve appiccicare un’etichetta per rendere un’opera di narrativa fruibile e apprezzabile al pubblico dei lettori.
Nella pratica le cose sono meno semplici. Perché l’appartenenza a un genere costituisce una forma di pre-comunicazione tra chi scrive e chi legge. Comporta delle aspettative, dei taciti accordi, un certo approccio, delle regole implicite.
Questo romanzo di Federica D’Ascani esce in una collana di narrativa erotica, e lo stiamo presentando su un sito che si occupa di letteratura erotica, ma non è, né voleva essere nelle intenzioni dell’autrice, un romanzo erotico. C’è del sesso, e non poco. Non è così centrale da poterne fare un romanzo erotico. Al tempo stesso forse ce n’è troppo per poter ospitare il romanzo in contesti diversi (e qui la colpa è nel miope bigottismo di editori di altri generi che hanno rifiutato il manoscritto per la presenza di troppo sesso).
In realtà non è facile assegnare questo romanzo univocamente a un solo genere, e non sono uno che ama particolarmente attaccare cartellini. Ma in una recensione va spiegato al potenziale lettore cosa deve aspettarsi. Allora direi che in questo romanzo ci sono molti elementi del thriller psicologico, ma ci sono anche molti elementi dell horror satanista.
Mischiare generi diversi è operazione delicata e rischiosa. Può funzionare inserire qualche elemento di un genere in un’opera di un altro genere. Ma deve esserci un genere che guida, con le proprie logiche, le proprie semantiche, i propri riti, le proprie regole. Altrimenti si rischia un po’ di confusione.
L’Inferno di Rebecca parte in modo molto interessante e ambizioso. Ci sono ben tre flussi narrativi paralleli: una sfida notevole per una scrittrice.
Su un primo flusso, la protagonista Rebecca racconta in prima persona la storia di una breve vacanza in Umbria con il proprio fidanzato, Stefano. Il rapporto tra i due è piuttosto problematico. Lui è arrogante, prepotente. Lei è combattuta tra una componente interiore che si sente irrimediabilmente succube di lui e un’altra componente che vorrebbe respingerlo e ribellarsi alle sue continue violenze psicologiche. Una situazione, ahimè, fin troppo comune anche nella realtà: troppe donne perdono la testa per il bastardo che le maltratta. Ma nel caso di Rebecca e Stefano ci accorgiamo che la bastardaggine di lui, tanto quanto l’essere succube di lei, vanno ben oltre ogni normalità, per sfociare direttamente nel patologico.
Nel secondo flusso narrativo, siamo in un momento futuro rispetto al primo flusso. Rebecca è in un casa di cura per malattie psichiatriche, dove un dottore sta faticosamente cercando di analizzarla. Capiamo che Rebecca è lì per aver tentato di uccidere il proprio ragazzo, Stefano, durante quella stessa vacanza di cui si parla nell’altro flusso. Il medico deve dare il suo responso per capire se in quel momento la ragazza, sicuramente un soggetto dalla mente “disturbata” con alle spalle un tentativo di suicidio, fosse in condizioni di intendere e di volere, o se possa valere per lei l’alibi dell’infermità mentale.
Con questi primi due flussi siamo in pieno thriller psicologico. Perché vediamo che la ragazza in realtà è solo una vittima che paga la propria fragilità, mentre ad apparire sempre più uno psicopatico è il suo Stefano, ed è abbastanza evidente che sono le continue angherie emotive e psicologiche che lui infligge alla ragazza a minare gli equilibri di quest’ultima. Ma vediamo anche che non tutti capiscono la situazione, anzi, per molti personaggi la “pazza” è Rebecca, mentre il ragazzo è una povera vittima, che per amore l’ha tenuta accanto nonostante gli acclarati disturbi mentali, fino a rischiare di essere ucciso durante un raptus di follia di lei.
Il terzo flusso narrativo è quello che ospita l’elemento horror satanico. Scopriamo che Stefano è un adepto di una certa setta satanista, devoto di un demone minore, ma molto potente. Si lascia intendere che la sua cattiveria, la sua bastardaggine, sono conseguenza della sua adesione al satanismo.
La chiave di ogni thriller psicologico è nell’implicita minaccia che contiene e che suona più o meno così: ogni persona, anche quella apparentemente più sana, nasconde nel proprio inconscio dei mostri, di violenza, o di qualche forma di follia, e ognuno di noi, se sottoposto agli stimoli giusti, può ritrovarsi schiavo di questi mostri interiori.
Ma i mostri che nel thriller psicologico sono annidati nel nostro inconscio e pronti a impossessarsi di noi, nell’horror satanico sono invece demoni esterni, dotati di vita propria, di un’esistenza oggettiva indipendente, che ci posseggono o che ci dominano togliendoci il controllo di noi stessi. Due visioni contrapposte, che possono essere conciliate in un solo modo, ossia dando ai demoni satanici una lettura simbolica. Come dire che l’adesione di Stefano alla setta satanica andrebbe interpretata metaforicamente come il suo cedere agli istinti più violenti e prevaricatori che albergano dentro di lui. Così come il demone che si insinua in Rebecca e la obbliga ad accetare in modo succube i soprusi che subisce da lui è in realtà quella strana molla ancestrale che lega il torturato al suo aguzzino e che genera le sindromi di Stoccolma e manifestazioni affini. E’ una lettura che, leggendo i primi capitoli, può starci e convince.
In particolare riveste fascino la figura di Dalia. Viene presentata come una persona realmente esistente ma la si riconosce presto come la personificazione di una componente dell’animo di Rebecca: è la sua parte forte, la sua femminilità indomabile. E’ la componente che più si oppone alla sudditanza di Rebecca nei confronti di Stefano. Nel flusso horror satanico le si riconosce lo status di una figura metafisica, una specie di semidea pagana, ma è perfettamente coerente con la lettura simbolica.
Questo inizio a tre flussi è tanto ambizioso quanto esaltante per chi legge, anche perché l’autrice sembra padroneggiarne la complessità con estrema disinvoltura. Ma soprattutto si percepisce molto coinvolgimento nella scrittura. Non c’è solo mestiere in quello che leggiamo, ma anche passione che viene dal profondo. E’ evidente che gli argomenti trattati toccano qualche corda sensibile nell’autrice.
Andando avanti nella lettura, ci accorgiamo che il flusso narrativo “satanico” a un certo punto si inabissa e scompare. Rimane pertanto una storia che si dipana sul piano del puro thriller psicologico. Man mano scopriamo dettagli della vacanza in Umbria. Man mano vediamo il medico scoprire sempre qualche dettaglio in più della psiche tormentata di Rebecca. Vediamo anche cosa succede nel frattempo fuori dalla casa di cura. Stefano che si consola con altre due ragazze (anche loro succubi della sua prepotenza), Serena e Tania. Scopriamo la famiglia di Stefano, i genitori di Rebecca sull’orlo della separazione, quelli di Tania che ha un momento incestuoso con il padre. Situazioni tutte psicologicamente complesse, in cui ogni personaggio viene descritto con mirabile profondità, nei suoi pregi, nelle sue tare, nei suoi demoni latenti. Troppi personaggi, forse. Talvolta è faticoso seguire i mille rivoli in cui si frammenta la narrazione, ma la storia di ognuno di questi personaggi ha un proprio pathos, una propria complessità, una propria drammaticità. Si sussguono momenti tragici, da vari punti di vista, e Federica è bravissima a creare ogni volta la suspance appropriata per descrivere le cose che accadono sempre suscitando il giusto brivido e la giusta ansia.
Quando si arriva agli ultimi capitoli, succede una cosa un po’ inaspettata. Il flusso narrativo  horror satanico, che per parecchi capitoli era del tutto scomparso, riemerge e monopolizza prepotentemente il finale. Tutto quello che era stato il plot fino a quel momento viene asservito ai capricci di una complicata gerarchia di diavoli, e gli eventi che vengono rappresentati da lì in poi sono perfettamente in linea con il genere, con tanto di persone possedute che camminano sui muri e sui soffitti, corpi squartati e divorati, sangue che schizza dappertutto, esorcisti (sic!) inviati direttamente dal Vaticano, pagine del Vangelo che vengono lette per cercare di debellare i demoni.
Dal punto di vista del genere horror satanico sono pagine assolutamente magistrali, tali da emozionare e coinvolgere anche chi non è un fan di tale filone. Non si può negare che la lettura sia suggestiva, appassionante e giustamente terrorizzante, e si apprezza moltissimo la tecnica dell’autrice nel gestire la tensione e l’intensità.
Tuttavia non riusciamo a convincerci che questo finale non alteri l’equilibrio complessivo del romanzo e non distrugga in qualche modo tutto quello che si era creato nella parte centrale dell’opera. Tutti questi demoni che salgono sulla ribalta rendono impossibile, o perlomeno estremamente ardua e contorta, una lettura simbolica. La stessa figura di Dalia viene completamente distorta da quello che sembrava essere all’inizio. Il contrasto ideologico tra il thriller psicologico e l’horror satanico, viene risolto decisamente a favore di quest’ultimo, e non è una scelta che ci convince fino in fondo.
I meccanismi che fanno emergere i mostri dall’inconscio umano, nei thriller psicologici, seguono delle regole e richiedono una loro coerenza. I capricci dei Demoni immaginari sono invece del tutto arbitrari, e laddove ci si guadagna nel gusto splatter di certe scene (per chi le apprezza, perlomeno) ci si perde in pregnanza, in profondità, in sostanza.
Erano gli autori meno fantasiosi e creativi quelli che nell’antica grecia facevano sbloccare le situazioni più complesse e intricate dall’intervento del famoso deus ex machina, che arbitrariamente sistemava le cose come meglio voleva. Si potrebbe dire che Federica fa la stessa cosa, lasciando risolvere una situazione complessa e intricata di un thriller psicologico a dei diabuli ex machina.
Tuttavia trovo ingeneroso pensare a questo finale come un escamotage furbetto per dare una chiusa d’impatto a un plot che era cresciuto di complessità sin forse ai limiti dell’ingestibilità. Preferisco pensare che nel delineare una storia scritta con l’anima, in cui Federica ha fatto vivere propri fantasmi, paure, terrori, forse ricordi, ci sia stato il momento in cui è stata pervasa da un’istinto di distruzione, un cupio dissolvi, una smania di esorcizzare, in un bagno di sangue e di morti, tutta la costruzione. L’esigenza psicologica di annientare il castello dei propri incubi ha prevalso sulla coerenza narrativa. La passione per l’horror satanico e l’indubbia padronanza narrativa hanno fatto il resto.
Forse la gestione di un’architettura così complessa avrebbe richiesto una distanza e una freddezza che non si potevano pretendere da Federica per una storia nella quale è impossibile non percepire una qualche forma di coinvolgimento profondo. In compenso non si può negare che la lettura di questo romanzo sia sempre avvincente, palpitante e spesso capace di lasciare chi legge col fiato sospeso. Leggere questo romanzo è un’esperienza che non lascia indifferenti e sicuramente non annoia. Non è un romanzo erotico, ma vale sicuramente la pena leggerlo.

Di seguito il link al blog  di Vittorio Xlater:

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