lunedì 31 marzo 2014

Mercoledì 2 Aprile è la giornata mondiale per l'autismo... Come al solito nessuno ne parla...

Ma io, come i grilli parlanti, sono qui a tampinare i miei contatti e chiunque voglia condividere questo importante segno di civiltà... Per l'occasione mi sono permessa di scrivere questo piccolo cammeo, solo per tentare di sensibilizzare riguardo a ciò che molti hanno paura di affrontare...

Foto
Il mio terrore inespresso





La realtà che vivo non è comprensibile. Me ne rendo conto, giorno dopo giorno. Non parlo, ma non lo faccio per impossibilità, non perché non ne sono capace. La gente non capisce, o forse finge. Per noia? Pigrizia? Non so. Perché se qualcuno, oltre i miei genitori, si prendesse la briga di osservarmi, potrebbe rendersi conto di chi effettivamente io sia. E di cosa, effettivamente, io abbia bisogno. Ma, nonostante tutto, non posso e devo lamentarmi. Molti parlano di Dio, come se fosse un loro intimo confessore. Per me è un fedele amico. Ma non parlo del Dio che tutti conoscono o venerano. Il mio, di Dio, è differente. È l'unica entità in grado di comprendere e capire cosa un mio gesto o un mio sguardo voglia effettivamente esprimere. Io ho paura. Dio lo sa, lo comprende. Lui è con me, ogni istante, ogni giorno. Amo i miei genitori e credo che loro, a distanza di anni, lo abbiano percepito. Posseggo un mio modo per esprimere concetti, ma non per questo non provo emozioni. Contrariamente a tutto quello che nella società viene intrapreso come lotta per i miei diritti, a me non interessa che gente che non conosco si prenda la briga di salutarmi. Non sono poi tanto differente da qualsiasi altra persona. Ciò che mi rende diverso è la semplice impossibilità di avere comportamenti che rispondano ai canoni prestabiliti dall'essere normale. La mia mente funziona, e anche meglio di quella di molti. Gli impulsi ci sono, così la volontà. Il problema si pone nel momento in cui il cervello comanda al corpo una determinata azione. Non so per quale motivo, eppure i miei arti non rispondono come vorrei. I crampi alle braccia, rigide, sono atroci, ma non faccio nulla per farlo comprendere. Perché sono coraggioso? Può darsi io lo sia, ma non è questo il motivo del mio silenzio. Può darsi che io abbia una soglia del dolore più alta rispetto ai miei coetanei? No, altrimenti le lacrime che luccicano sulle mie guance non sgorgherebbero come torrenti da un monte. No. La verità è che la mia bocca produce suoni che gli altri, persino chi mi vuole bene, non riescono a interpretare. Le parole, io, le conosco. Comprendo le lezioni che vengono spiegate in classe, sono stato attento, nonostante il mio atteggiamento dimostrasse il contrario. La maestra puliva la mia bocca, schernendosi il viso per paura di uno scatto improvviso dei nervi. Lei spiegava, stoicamente, continuando a guardarmi in volto. Continuando, imperterrita a trattarmi come un bambino normale. TRATTANDOMI, soprattutto, ma sono stato fortunato. Perché lei c'è stata laddove molti altri hanno rinunciato. Conosco ragazzi che non hanno avuto la stessa mia fortuna. Conosco ragazzi che sono rimasti ai margini di una classe, il volto rivolto verso il muro, intenti a dondolare il capo in avanti e indietro nell'unico movimento che il corpo consentiva loro. Nessuno ha saputo capire. Nessuno ha avuto voglia di comprendere. Io sono fortunato, per alcuni versi, nonostante chiedo di frequente al mio amico Dio come mai non possa correre, giocare o parlare come i miei coetanei. Come fanno i miei genitori. Il sogno di ogni figlio è quello di imitare, idolatrando, il proprio padre o la propria madre. Io non posso. Non perché non voglia, ma perché non riesco. Non riesco a immaginare un futuro in un ufficio, in una carrozzeria, su un autobus affollato. Non riesco a immaginare un'esistenza senza scatti di nervi improvvisi, capaci di ferire senza la minima intenzione primordiale. Non riesco a immaginare o vedere un futuro, per me, che comprenda l'amore di una donna, l'amore di un figlio mio, la carezza di una persona gentile. Seriamente e perdutamente innamorata di me. I miei genitori mi amano, io lo so. Lo percepisco. Li ascolto, nonostante appaia sempre chiuso in me stesso. Nonostante il mio sguardo sembri assente, le mie orecchie in apparenza incapaci di ascoltare. Io so. Io comprendo. Il mio cervello funziona anche troppo bene. L'ho detto, il mio cervello funziona anche meglio di alcuni altri. Ma il mio corpo non risponde ai comandi. E il mio vero problema è intimo, è personale. Nessuno può sopire l'istinto primordiale che ho di proteggere me stesso. Perché nessuno capisce il terrore. La paura arcana del dolore, del contatto, dell'ignoto. Tutto ciò che non riguarda la mia mente è estraneo. Il diverso mi fa paura. E tutto ciò che è diverso è tutto ciò che non sono io. La gente non capisce, oppure finge nel suo ignorarmi. Eppure basterebbe osservare. Il mio sguardo basso, il voler arbitrariamente assentarmi, chiudermi in me stesso. Autistico. Automatismo. Il ripetersi di gesti conseguenti. Non sono poi così tanto differente da chi è preda di una depressione latente, da chi soffre, improvvisamente, dei cosiddetti attacchi di panico. Oh si, io li conosco. Io capisco, gente, capisco. Non parlo, non affronto un dialogo, ma io vi capisco. Perché vivo in mezzo a voi, perché mi prendo la briga di interpretare i vostri gesti, pur di migliorare la percezione che il mio cervello ha di voi. Ma voi non comprendete me. Non volete farlo. Troppo presi dalla frenesia dei giorni che si susseguono, troppo presi dal terrore di accostarvi a chi è differente da voi. Troppo presi da voi stessi, tanto da non riuscire a concepire qualcosa differente dall'estensione del vostro ego. E allora, tra me e voi, chi è il vero autistico? Cosa ci differisce, in fondo? Io sono diverso perché non parlo, perché non ascolto, perché ho paura che mi tocchiate. Voi non avete paura di me e, di conseguenza, non mi parlate, non mi ascoltate, non mi toccate? Cosa, in fondo, vi differisce da me? Siamo esseri umani, con un cervello, con degli arti, con occhi e orecchie. Mangiamo, dormiamo. Tutto nello stesso modo. Solo la maniera di esternare la nostra personalità muta, ma non significa che io debba essere ignorato per questo. In fondo, comunque, non mi interessa molto. Io amo i miei genitori, amo chi mi vuole bene. Nella stessa maniera in cui voi tenete ai vostri familiari o amici. La differenza è che voi avete molti più sostenitori di me, ma... Beh, pazienza. È per questo che alla fine mi tengo il mio amico Dio. Gioco con Lui, quando voi pensate che si volti altrove, insensibile alle vostre richieste. Ci sono anche io, pensateci. Quando mi vedete dondolare il capo, tenere le mani rigide sui gomiti piegati, pronunciare fonemi che vorrebbero essere parole. Quando voi pensate che non vi stia guardando, io vi sto studiando. Quando credete che io non vi ascolti, io sto memorizzando ogni vostro discorso. Sono una persona. Ho le mie emozioni, i miei timori, i miei amori. Ho solo paura. Più terrore di voi verso l'ignoto. Quando mi incontrate per strada, quindi, non fate finta di nulla. Oppure non ostentate un sentimento di esagerata empatia. Agireste in maniera sbagliata comunque. Non ho bisogno di compatimento. Ho bisogno soltanto che voi cerchiate di capirmi. Come fareste con chiunque altro desideroso di far parte della vostra vita. Sono una persona, prima di essere una patologia. E come ogni individuo, vivo e respiro. E piango. E gioisco. Frutto di un amore, sono pronto a donarne, anche se impossibilitato a farlo nella maniera che voi concepite come giusta perché racchiuso in un corpo forse inadatto a cogliere ciò che il mio cervello gli impartisce. Forse. Non lo so neanche io. So soltanto che ho paura e che avrei bisogno di un abbraccio sincero, anche se molte volte respingo chi tenta di avvicinarmisi. Ho paura, solo paura. Niente altro che paura.  

1 commento:

  1. Secondo me hai scritto al meglio quello che i bambini autistici sentono.
    Un bacio
    Giulia <3<3<3<3<3<3:-):-);-)
    Giulia

    RispondiElimina