domenica 29 giugno 2014

Il peccato della sirena di Maria Michela Di Lieto


Il peccato della sirena (History Crime)

Piove. Diamine, piove e il mare sembra ostacolare anche il suo cammino verso il rifugio sicuro e asciutto che è la grotta dei Cappuccini. Inoltre sembra che la sua fedele amica, ormai vuota dell'alcool che gli ha donato, abbia deciso di procurargli allucinazioni a non finire. Non può essere altrimenti. Con un tempo da lupi, come quello, nessuno uscirebbe in mare con una barchetta da pescatore senza neanche una luce a rischiarare la via. Si, decisamente ciò che Pino vede, nel suo arrancare verso il rifugio, non è altro che un sogno sfocato causato da quella dannatissima bottiglia. E forse è un 'allucinazione anche la donna che con lui divide il riparo asciutto e sicuro. I lampi ne delineano il profilo, ma è solo avvicinandosi un poco di più che Pino si rende conto che la donna è reale, livida, fredda e... morta! Dio, ci mancava solo questa! Una donna stupenda morta, probabilmente ammazzata, lì di fianco a lui... Saranno problemi del brigadiere, non suoi, eppure non riesce a reprimere un grido di profondo orrore.

Siamo ad Amalfi, nel 1817, e l'ignoranza e la povertà sembrano aver oscurato la bellezza del luogo esotico e pittoresco che è la cittadina del centro Italia. Nonostante la pioggia insistente, si riesce a percepire una sorta di afa che rende i movimenti e i pensieri pesanti, difficili e terribilmente faticosi. Ed è proprio questo che affascina, inizialmente, del “Peccato della sirena”. Prima ancora che Giovanni e Biagio si trovino a fare i conti con quell'ubriacone di Pino e il suo macabro ritrovamento, Maria Michela Di Lieto, infatti, riesce con pochissime parole a immergere il lettore nell'Amalfi criminosa che dipinge, nel buio della spiaggia, con la risacca e la lieve brezza portatrice di pioggia. Sembra di venir abbagliati dai lampi e, più tardi, di vedere chiaramente il volto della donna riversa sulla parete di pietra priva di vita e brutalmente uccisa. Un giallo prima ancora di un thriller, Il Peccato della Sirena sembra quasi uno spin off di un caso del commissario Montalbano. Narrato con la stessa semplicità, chiaro ed esaustivo in ogni sua parte, il racconto della Di Lieto fa comprendere in pieno perché un opera della sua autrice sia stata pubblicata, nel 2012, all'interno dei Gialli Mondadori. Bravura, talento, sapienza nella descrizione dei personaggi prima ancora che dei luoghi, fanno della Di Lieto un'autrice che non ha nulla da invidiare ai suoi colleghi più noti del genere. I suoi dialoghi non sono mai scontati, anzi ricchi di particolari in grado di fare di una semplice frase una scena precisa di un ipotetico lungometraggio. Si, perché diciamolo: Il peccato della Sirena è scritto quasi fosse una sceneggiatura. Il lettore ha perfettamente in mente i luoghi, i colori e le situazioni in cui si muovono i protagonisti del racconto, quasi in effetti lo stia vedendo proiettato su uno di quei muri con il proprio super8 d'epoca. Non dimentichiamo l'ambientazione storica, che solo accennata all'inizio del racconto riesce a donare una sfumatura color seppia all'intero contesto. L'autrice, purtroppo confinata nel limite delle battute prestabilite dalla collana della Delos, esplode in un piccolo capolavoro, creando un racconto in grado di donare molto, suscitando nell'animo il desiderio di leggerne ancora e ancora. Ci si chiede quando sarà possibile leggere un suo romanzo, data la bravura, ma ci si accontenta anche delle perle che dona, con saggezza e sapienza, testimoniando come non bisogni per forza scrivere 400 pagine per essere incisivi e profondi. Scrivere racconti non è semplice, e scriverne di tali lo è ancor meno. Decisamente consigliata a chiunque adori leggere e non soltanto ai fruitori del genere thriller o giallo, Maria Michela Di Lieto convince fin dalle prime battute. Insomma, il canto della sirena, per quanto peccaminoso, attrae di nuovo, come nella storia, senza però condurre alla sventura. La sirena, questa volta, è portatrice di una storia meritevole di esser letta e apprezzata.

sabato 28 giugno 2014

La serva di Vienna di Nora Noir


La serva di Vienna (Senza sfumature)


Estrella non ha avuto molta scelta. In partenza per Vienna, di fianco al vecchio che sarà presto suo marito, la ragazza è stata convinta con ogni sotterfugio ad accettare quella situazione. Horacio, suo padre, l'ha promessa a quel grassone dalle mani lunghe e l'orgasmo facile, in cambio di una rendita in grado di sostenere i vizi sfrenati che lo hanno reso, nel tempo, un nobile spagnolo povero in canna. Siamo nel 1880 e Vienna rappresenta già una delle più belle capitali europee possibili da visitare. È proprio questo ad attrarre Estrella e a far propendere la sua decisione verso la volontà di seguire il vecchio maliardo alla volta di un matrimonio di puro interesse. Ciò che la ragazza ignora è che l'interesse sarà della famiglia e del marito, non il suo, ignara vittima sacrificale di un gioco più grande e inarrestabile. Inoltre non può immaginare che non tornerà mai più nel suo paese, una volta abbandonato, né che conoscerà l'amore puro e vero in una maniera del tutto impensata e inusuale. Torniamo a parlare della collana Senza Sfumature della Delos Digital, e lo facciamo tramite “La serva di Vienna”, racconto lungo scritto dalla scrittrice Nora Noir, autrice italo inglese di cui abbiamo la fortuna di saggiare il talento. Di sé, nella sua biografia, dice di scrivere principalmente quando è triste o incazzata e quindi di trovarsi nelle condizioni di narrare storie erotiche molto spesso. Beh, se è così il lettore deve augurarsi che a Nora Noir non manchino mai fonti di disturbo o di tristezza, perché è capace di regalare, con le sue parole, momenti di puro godimento. La serva di Vienna è ciò che definiremmo un piccolo romanzo, nonostante la sua brevità, perché capace di emozionare in molti modi pur non scadendo mai né nella volgarità, né tantomeno nello scontato. Tramite una scrittura scorrevole, mai tendente allo statico o al noioso, Nora Noir narra le vicissitudini di una bellissima ragazza spagnola, di nobili origini, costretta dagli eventi, propri del suo tempo, a un rapporto malsano e decisamente poco appagante come quello intavolato con il conte Sigmund Von Haken. La povertà di suo padre, nonostante la nobiltà, dovuta principalmente ai vizi a cui cede sovente l'uomo, quasi costringono la ragazza ad accettare la proposta del vecchio grassoccio che gioverà a tutti, nel futuro, tranne che a Estrella stessa, confinata in un palazzo dall'opulenza accecante a ricoprire il ruolo di oggetto esotico da sfoggiare e osannare a ogni ricevimento o festa indetta dal nobile viennese. Questo sarà l'inizio di una storia intensa, di un amore insospettato, di una muta denuncia verso il maschilismo e l'ignoranza, e della testimonianza di come, non troppo tempo fa, la famiglia dettava regole attualmente improponibili e prive di qualsiasi forma di empatia o rispetto. Disponendo della vita dei propri figli come meglio si credeva, per proprio tornaconto, infatti, i nobili dell'epoca, e non solo loro, decidevano le sorti di intere future famiglie in nome solamente del vile denaro e del vizio sfrenato. La chimera di una possibile scelta davanti a proposte come quelle descritte ne “La serva di Vienna” era semplicemente uno specchio per le allodole, atto a preservare l'apparenza di una libertà impossibile e inimmaginabile. Perfettamente in grado di trasmettere sensazioni discordanti nello stesso momento, Nora Noir inoltra il lettore dapprima nel clima caldo e afoso dell'estate spagnola, poi in quello più rigido e asettico dell'inverno viennese, descrivendo con sottile ironia e semplicità eventi che altrimenti sarebbero risultati davvero di difficile digeribilità. Il racconto non risulta privo, infatti, di momenti esilaranti, specialmente nei primissimi frangenti quando la scena è occupata da Horacio, padre di Estrella, e Juan, amico di famiglia. In effetti alcuni frangenti de “La serva di Vienna” rievocano passi della commedia erotica degli anni passati, quasi il lettore stesse assistendo alla proiezione di un film dai contorni sbiaditi dalla calura afosa e pesante di una Spagna ancora calpestata da Don Diego della Vega in versione molto più piccante da quello conosciuto fino a ora. Le situazioni erotiche sono caldissime, ma assolutamente pulite, quasi l'autrice riuscisse a farci intravedere gli amplessi dalla fessura di una porta in grado di celare l'impudicizia delle situazioni più scabrose. Dolce e sentita la relazione omosessuale, descritta e mostrata in maniera del tutto sensuale e sensibile. Quasi si riuscissero ad avvertire gli odori presenti nelle stanze, o ad ascoltare i rumori attutiti attraverso le pareti come se si fosse parte integrante del racconto stesso, il lettore si affaccia assieme a Estrella di notte a spiare gli amanti di cui prova gelosia e invidia, si distende sul letto in attesa del piacere tanto agognato, trema ai soprusi del conte Von Haken, retrogrado nobile incentrato sul tentativo di apparire, dimenticando di vivere ciò che possiede e ostenta con eccessivi orgoglio e tracotanza. Non si riesce a trovare difetto in questa novella di Nora Noir, che non solo rappresenta un chiaro esempio di come un piccolo racconto storico possa entusiasmare al pari di un romanzo di più ampio respiro, ma dimostra anche come l'erotismo possa essere considerato letteratura e non solo intrattenimento.

mercoledì 25 giugno 2014

Il Gran Diavolo di Sacha Naspini



Giovanni De Medici, ultimo Capitano di Ventura. Il Gran Diavolo, un eroe italiano per molti, un arrogante mercenario per altri. Giovanni De Medici, un nome che evoca rigore, rispetto, battaglia. È questo ciò che balena, negli ultimi istanti di presenza tra le fila dell'esercito delle Bande Nere, nella mente del Serparo Marsicano. Negromante, santone, soldato ma anche inquietante indovino mediante le sue bisce, come le apostrofa l'Aretino tra i suoi scritti, il serparo di Cucullo sembra essere nato per servire quel Capitano e la sua stirpe. Un tempo aveva creduto di dover preservare la sua discendenza, mediante progenie, in modo di tramandare la sua sapienza e le sue ricette occulte, frutto di secoli di studi da parte dei suoi avi, non ultimo suo padre. Ma il tempo delle riflessioni è terminato e forse il fato ha avuto in serbo per lui un destino ancora più grande e glorioso. Giovanni De Medici sta morendo, ferito vilmente dalle armi del D'Este, e le Bande Nere sono allo sbando, consce del tradimento di qualcuno tra di loro ai danni del loro mentore, protettore, comandante, genitore amorevole. Giovanni De Medici fu tutto questo? Fu altro, fu qualcosa di grande, di maestoso, di ignobilmente accattivante per le fiere mercenarie ai suoi ordini. Sacha Naspini ripercorre, dalla gioventù, le gesta, prodezze e nefandezze, dell'ultimo Comandante di Ventura che l'Italia conobbe negli ultimi anni tumultuosi del Rinascimento, periodo che in effetti conobbe il suo termine proprio quando le truppe spagnole e tedesche saccheggiarono Roma, evento che probabilmente avvenne proprio per la dipartita del Medici. Con la solita maestria nell'interpretare l'animo umano, nonostante questo sia proprio di un contesto sociale e culturale di molti secoli addietro, Naspini trasporta il lettore nei campi di battaglia, nella mente del condottiero, tra le fila dei soldati rudi e meschini, mettendolo a parte di retroscena, seppur romanzati, che la storia ha teso a nascondere lungamente per non evidenziare quanto vile sia stata gran parte di quella società che avrebbe costituito, poi, l'Italia per come la conosciamo. Intrighi, giochi di potere, uomini utilizzati come pedine di una scacchiera vivente, le guerre erano all'ordine del giorno e la confusione dei tumulti frequenti in suolo italico si evince perfettamente dalle righe che con sapienza Sacha verga per il lettore ignaro. Troppo spesso i romanzi storici narrano di episodi conosciuti, triti e ritriti, sezionati con puntualità chirurgica da dar noia tanto che la prima bellezza del Gran Diavolo è proprio il sapersi discostare dalla moda e indagare oltre, in altri contesti storici forse più interessanti. Il lettore è quasi costretto a studiare il periodo descritto, cercando quanto del romanzo lasci spazi alla fantasia e quanto del narrato risponda a verità. Stupendi i dialoghi tra i soldati, quasi che il Naspini fosse stato presente e si fosse trasformato in semplice cronista di eventi, quasi che l'Aretino, in fondo, si trattasse del suo alter ego. Le descrizioni sono talmente puntuali da rendere il panorama suggestivo e reale e i personaggi hanno una profondità tale, mediante il loro solo parlare, da renderli quasi conoscenti di vecchia data. Tramite gli scritti dell'Aretino, appunto, si è potuto evincere come in effetti fosse presente un serparo marsicano tra le fila delle Bande Nere, assoldato probabilmente in veste di negromante e stregone, e Naspini utilizza questo espediente per trasporre i pensieri e il carattere del Medici, altrimenti celati dalle sue più note gesta belliche. Donando una propria personalità e una propria storia a Niccolò Duranti, l'autore crea forse il carattere più interessante dell'intero libro, perché voce silente di un personaggio dalle sfaccettature vaste e di difficile interpretazione. Sconvolgenti i colpi di scena che, nonostante si tratti di un romanzo storico, riescono a spiazzare l'attenzione riuscendo a suscitare esclamazioni di stupore durante la lettura. Conoscevo Sacha Naspini mediante il romanzo I Cariolanti e avevo adorato il suo modo di narrare e costruire storie e personaggi duri, spietati, talmente crudi da essere dannatamente reali e ho avuto timore, a essere sincera, quando ho saputo del suo romanzo storico edito per Rizzoli. Ho avuto effettivamente paura che avesse sacrificato parte del suo talento in favore del grande salto. La curiosità è stata più grande e ne sono felice, dal momento che ho potuto appurare che quando uno scrittore è tale non esiste svalutazione o sconto al proprio stile. Naspini scrive in maniera sublime e ha dato prova, mediante il suo Gran Diavolo, di essere in grado di poter scrivere la storia di una bolletta della luce riuscendo a entusiasmare il lettore con lo stesso trasporto di sempre. Solitamente recensisco solamente romanzi di autori emergenti ed esordienti, ma concedetemi questa digressione dovuta. Perché Naspini è stato un autore emergente per tantissimi anni, perché ha fatto la gavetta (e che gavetta!) e perché ha dimostrato che sacrificio, costanza e talento ripagano. Dio mio se ripagano! Non posso far altro che consigliare la lettura di questo romanzo, pregando i lettori di fare in modo che il nome di Sacha Naspini emerga ancora di più nel panorama letterario italiano. Lo merita!