venerdì 5 dicembre 2014

RIP di Marco Valenti

RIP (Officina Marziani)

Al è diventato l'amico più caro di Giovanni. Conosce tutto e in base a questo decide cosa bisogni fare, sa di cosa l'uomo necessiti, cosa debba pensare o ricordare. Al è colui che ha osteggiato Giovanni non consentendogli un solo respiro senza la sua ombra a incombere. Eppure è amico, perché forse l'unico che riesca a comprendere gli sbalzi d'umore a cui l'uomo è soggetto. E Luca, il figlio di Giovanni, è costretto a vivere in simbiosi con lui, come se fosse di fatto un altro membro legittimo della famiglia.
Al è dispettoso, suggerendo a Giovanni di alzarsi di notte alla ricerca di cibo, obbligandolo a vedere nelle persone ciò che invece non c'è. Al è tutto, ormai, e ha occupato ogni stanza della casa, ogni loro pensiero, governando ogni singolo movimento fino al nulla. Come sia giunto nessuno lo sa, è solo possibile arginare i suoi effetti devastanti che, come un terremoto, lasciano spossati e annichiliti. Al non è un uomo, come molti stanno pensando. Al è Alzhaimer e ormai Giovanni è nelle sue grinfie da dieci lunghi anni. Come Luca, costretto a una vita che mai avrebbe immaginato.

Marco Valenti è uno scrittore. Ma anche un figlio. Ma anche un uomo con le sue debolezze e i suoi pensieri. Marco Valenti ha scritto le sensazioni, le paure, gli sconforti propri di chi ha combattuto a lungo una lotta impari contro una malattia subdola, capace di attaccare fino a distruggere. Solo chi ha camminato lungo i viali dello sconforto di Al può comprendere a fondo le ansie di quest uomo, costretto a uno spettacolo che tutti rifiutano, a cui nessuno è in grado o vuole partecipare. Come dare torto quando, come giustamente il Valenti ci fa notare, viviamo in un mondo dove è più facile occuparsi del male oltreoceano piuttosto che quello in casa propria? “Vuoi davvero che sia la gente che su facebook ti dice che se non metti il mi piace a un bambino down sei un mostro a doverti comprendere?” E fa riflettere. Dio se fa riflettere. Perché è vero che esiste superficialità nel prossimo. È vero che molti si dileguano davanti a un male, convinti per ipocrisia che a loro non capiterà nulla se prenderanno le distanze. E allora il condannato a morte rimane solo. E allora chi è costretto per natura a doversene prender cura rimane solo. Vedere avvizzire colui che ha donato la vita, osservarlo regredire a uno stato più che infantile, dove un tovagliolo può diventare un telecomando e un bambino un membro della propria famiglia. Leggendo Valenti si intuisce il calvario a cui è costretto un figlio, a cui lui stesso è stato costretto, con cui molti di noi hanno dovuto combattere. Perché l'Alzhaimer non è una malattia che prende e porta via in poco. No, è più subdolo. Al è un fedele amico che si attacca come la gramigna, che distorce aspetti, parole, sogni, ricordi. Al invade tutto, non solamente la mente del malato. E non c'è scampo per chi deve vederlo in azione. Parlo di costrizione perché, anche se molti reputano insensibile e inumano il discorso, è proprio così che il familiare si sente. Non si ha più una vita, per lo meno quella che si è sognata, costretti a un percorso del tutto differente e incentrato alla cura di qualcosa che divora e non lascia scampo. E allora il futuro diventa un buco nero, dove finiscono, per non far più ritorno, soldi, affetti, conoscenze, indipendenza. Si dice che nel momento in cui un genitore sta male si debba dare a lui tutto ciò che ha donato dalla nascita alla crescita. Ed è vero. È giusto. Nessuno calcola, però, i differenti stati di animo che caratterizzano i due eventi. Il genitore sa che il bimbo crescerà, maturerà e diventerà, in un modo o nell'altro, adulto. Il figlio sa' che il genitore non migliorerà, non crescerà, non maturerà. Il figlio sa che la sua lotta è destinata a fallire, che ogni sforzo non varrà a nulla, che nessuno gli dirà bravo alla fine del percorso e che sarà un'agonia dall'inizio alla fine. Solo, oltretutto. I Natali in casa di cura, le feste comandate trascorse tra malati. La solitudine delle notti col pensiero di non uscire vivi da una situazione pressante e pesante, il magone per un pensiero sempre più ricorrente. “Io quella persona non la riconosco più”. Perché si fatica a comprendere che sia così, ma effettivamente il genitore, come una moglie, come un marito, cessa di essere ciò che era in salute, divenendo solo un'ombra in un involucro di carne. Ma, seppur nella solitudine, un familiare deve rimanere in silenzio perché certe cose non si dicono, certi pensieri non si divulgano. Poi c'è la liberazione. E le lacrime sgorgano dagli occhi non per la perdita dell'amato, perché quella si è già vissuta all'inizio della malattia, ma per la liberazione che la sua morte ha portato. Una liberazione che è brutta a dirsi, ma che lascia un sapore amaro in bocca perché la propria vita non sarà mai più come quella del “prima”. Marco Valenti colpisce, trasmette, insegna. Insegna a non voltarsi dall'altra parte, insegna a utilizzare la propria empatia per situazioni più vicine, senza andare dall'altra parte del mondo che: poveri, a loro chi ci pensa? Forte la denuncia contro le istituzioni che, come molti parenti, lasciano soli, fanno diventare avari, suscettibili e cattivi. Forte anche il rimprovero alla burocrazia, lenta e disagiata, carica di cavilli che non hanno ragione di essere, non in determinate situazioni. Inutile dire che RIP lascia un vuoto nello stomaco, un tarlo nella mente, un senso di impotenza che dovrebbe indurre alla riflessione e a una presa di coscienza dura. Ultimo, ma non ultimo, l'invito di sostenere la Comunità di Sant'Egidio, associazione volta ad aiutare, che evidentemente è stata vicina al Valenti durante il bisogno come lo continua a essere per tanti altri dimenticati e abbandonati. La maggior parte dei proventi del diritto d'autore legati a questo libro verranno devoluti a loro, nella speranza che non si sia più soli davanti ad Al o chi per lui. Toccante, emozionante, scritto in maniera chiara, sentita, RIP è assolutamente da leggere.

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