giovedì 17 dicembre 2015

Prepara la valigia, Billy, si parte!

Preparare quelle valige era uno stillicidio continuo, simile alle gocce cinesi che ti logorano nel profondo partendo dalla superficie. Una mutanda: un'imprecazione. Un paio di jeans: una maledizione.
Odiava dover andare a stare da Rachel, c'era poco da fare, e il fatto che O'Brien gli avesse concesso i giorni di ferie senza neanche pensarci non faceva che renderlo ancora più frustrato. Zero scuse per scampare a una settimana - già, perché alla fine era diventata una settimana - priva di scopate, ma colma di giramenti di palle.
Rachel e la sua voglia di essere tutti felici.
Rachel, e la sua mania di controllo.
Rachel e quella sua voglia latente di farlo diventare un etero senziente.
«Che palle!» esclamò gettando un ultimo paio di mutande nella valigia e voltandosi con le mani tra i capelli. Gli occhi gli caddero sul suo riflesso e lì rimasero, con le dita incrociate sulla testa, le gambe un po' divaricate e il torace scolpito dalla natura. Doveva ammetterlo: di partire non aveva proprio voglia. Aveva già parlato con Jack, il vicino, che gli avrebbe tenuto Billy per quella settimana e curato le piante del giardino a cui teneva forse più del suo aspetto fisico. D'altronde quel suo piccolo polmone personale lo rendeva una persona migliore, almeno concorreva a tacitare la sua parte menefreghista, ma ansiosa di essere quanto meno umana. Sapeva di avere un carattere di merda, anche se con Rachel non lo avrebbe mai ammesso, e sapeva anche di non meritare le attenzioni che invece molti gli dimostravano. Come Liam. L'ultima volta che si erano sentiti, lo scrittore gli aveva fatto capire le sue intenzioni, proponendogli anche una vigilia in compagnia. Ovviamente aveva declinato l'invito, ben felice in quel momento di portare avanti il nome di Rachel come scusa.
Ma che problema aveva, lui, con i rapporti? Perché aveva così paura di impegnarsi con qualcuno? Liam non era affatto male, anzi... Bello, era bello; dolce anche, per non parlare di come se la cavava a letto. C'era qualcosa che gli sfuggiva, ma non sapeva realmente cosa...
«Che sei un asociale del cazzo, Dre Walker!» accusò il suo riflesso puntandogli un dito contro «e non hai scusanti. Tua sorella ha ragione» continuò avvicinandosi «non vuoi legami, non vuoi stare vicino a nessuno e non c'entra un fottuto niente il fatto che i tuoi siano morti all'improvviso. Tu eri così già da prima, caro il mio Dre» disse fermandosi un momento a osservare i suoi occhi neri scrutare il proprio doppio pensieroso. «Tu hai sempre odiato essere quello che sei. Tu, se avessi potuto scegliere tra essere una checca del cazzo ed essere etero, non ci avresti poi pensato tanto, ti pare? Tu non sei uno di quelli che se ne vanno in giro per strada a dire quanto è totalizzante essere omosessuali. Nossignore. Ma, ehi, non fraintendiamoci» allargò le braccia come Al Pacino «non è che rinneghi il tuo modo di essere: a te piace scopare uomini e il gusto che provi a farti sbattere non ha paragoni, ma... andiamo, sarebbe stata molto più facile la vita per te, se fossi stato dell'altra sponda, quella giusta... e tu lo sai» concluse a pochi centimetri dal suo volto con la tranquillità che lo aveva sempre contraddistinto durante i colloqui lavorativi e le interrogazioni a scuola. Ogni volta sembrava recitasse una parte e in fondo la sua vita non era proprio quello? Un copione di un film strappalacrime dal climax evidente... perfetto per i botteghini.


Nato gay in una città in cui se ne vedevano pochi come lui, e nero, che era un'aggravante, nonostante si trovassero al nord, aveva frequentato scuole normali, vero, ma con lo spauracchio sempre in agguato di non rivelare troppo della propria sessualità, che non si poteva mai dire - e questo rispecchiava la storia tipo di qualsiasi adolescente medio omosessuale del paese. Aveva frequentato il college, aveva avuto brevi storielle, mai degne di nota, e a un tratto la sua vita era stata stravolta dalla morte dei suoi in un supermarket come ce n'erano tanti in giro. Quindi la fuga verso un paese diverso e privo di ricordi troppo pesanti, nonostante quella casa fosse appartenuta ai suoi genitori, l'allontanamento da Rachel, la difficoltà a intraprendere storie serie, la fermezza nel voler continuare alla stessa maniera fino a ritrovarsi solo, rincoglionito e sempre incazzato con la donna delle pulizie come il suo vicino... Un film da Oscar,  tranne che per la fine ingloriosa. Ci sarebbe voluto un bel colpo di scena... già, ma quale?
«Quanto sei coglione, amico mio» sospirò voltandosi verso la valigia «tutti gli anni gli stessi identici discorsi e durante gli stessi identici giorni... Sei anche scontato, oltre che triste... Ma come hai fatto a diventare così?» si chiese retorico chiudendo la zip della borsa e uscendo sul ballatoio. Lanciò un'occhiata al piano inferiore, dalle scale, e osservò Billy mangiare i suoi croccantini scodinzolando soddisfatto. Ecco, quel cane era la sua unica vera gioia e abbandonarlo sotto le feste...
«Billy, ma... che ne dici se chiamo la compagnia e chiedo di portarti con me? Mi costerà un occhio della testa, ma per un membro della famiglia mi pare il minimo... La mia famiglia sei tu, d'altronde» sorrise indulgente in una delle sue rare performance nei panni del Dre Walker dolce e affabile. Scese tenendosi al corrimano senza mai distogliere gli occhi dal manto bianco del suo amico, quindi arrivò accanto a lui e si accucciò per accarezzarlo bonariamente. «E poi sai i piccoli come saranno contenti? Sì, be', tu un po' meno... Ti daranno il tormento e tu stai diventando asociale come me, temo...» gli sussurrò guardandolo mentre quello si voltava per lanciargli un'occhiata di sufficienza e alitargli in viso una zaffata di carne marcia. Dre si alzò di scatto, tossicchiando e sventolando la mano davanti alle labbra, atteggiando la bocca in una smorfia di puro disgusto. «Dio,Billy, che cazzo c'è dentro a quegli affari? Carogne? Mi toccherà chiamare il veterinario e segnarti qualche disgorgante... Cristo, non ti si può star vicino» borbottò ciabattando in cucina «e poi dicono che non sono dolce... ma cazzo, puzzi come una fogna...» continuò prendendo il cordless e tornando in salotto.
«Tu starai a dieta, da oggi» promise al pastore puntandogli un dito contro mentre con l'altra mano avviava la chiamata «e non ti sognare di rubacchiare da Rachel o dai bambini, perché tanto ti scopr... Sì? Olympia Airlines? Buongiorno... Josh, sì... Oh, ma che bella voce, Josh...» sorrise, alzando gli occhi al soffitto e mordendosi il labbro con un sorrisino malizioso che ne incurvava la piega dolce.

giovedì 10 dicembre 2015

Appuntamento scarica nervi... con Liam

«Dre, non puoi mancare, Cristo! Lo sai che i bambini ci tengono e io... Non puoi lasciarmi da sola proprio la sera di Natale, non dopo tutto quello che è successo...»
«Rachel, lo so, ma cerca di capire... Non è semplice neanche per me e venire a casa tua sarebbe come ammettere che effettivamente non c'è più rimedio, che...»
«Ma un rimedio non c'è, infatti! Mamma e papà non li farai certo tornare dal mondo dei morti soltanto perché rimarrai chiuso in casa come un eremita! Lo vuoi capire che oltre al lav...»
«Ma tu che cazzo ne sai di quello che faccio io? Che cazzo ne sai di come sto elaborando il lutto, eh? Pensi che non lo sappia che loro stanno marcendo sotto terra? Pensi che non sappia che non torneranno più da me? Non sono un bambino, non ho bisogno di una seconda madre, Rachel!»
«Vorresti dire che non hai bisogno di me?»
«Ma chi cazzo ha detto una cosa del genere? Oh, porca troia, ma è possibile che ogni volta che ci sentiamo finiamo per litigare? Non ci credo...» sospirò allargando le braccia e guardando al cielo. Un cielo fatto di bianco, faretti al neon e qualche ragnatela. Umidità schivata: menomale!
«Non fare il solito teatrale, Dre. Lo sai anche tu che hai un carattere di merda» lo apostrofò sua sorella col tono della serpe che era.
Inspirò profondamente, imponendosi la calma, quindi si leccò le labbra finendo per mordersi la lingua pur di non mandarla a fanculo. Lui, un carattere di merda? E lei, allora?
«Ascolta, al di là di cosa posso o non posso pensare, ho delle scadenze da rispettare al lavoro e tu non abiti proprio qua dietro, e...»
«Cazzate, Dre. Potresti partire il 24, al mattino, e tornare il 26 sera. Oltretutto sei un fottutissimo editor e lo sai tu come lo so io che questo è un lavoro che puoi fare tranquillamente da casa. Non capisco perché non vuoi stare in famiglia a Natale...»
«Rachel, mi fa male vederti» sbottò sbattendo la mano sul tavolo, al limite della sopportazione. Il silenzio che seguì le sue parole fu eloquente, quasi quanto il click finale col quale Rachel interrompeva la conversazione.
«Cristo santo» sospirò gettando il telefono sul sofà sotto lo sguardo annoiato di Billy. Sembrava fosse abituato ai loro scazzi e in effetti era così. Quante volte litigavano al mese? Almeno due su quattro... Una buona media, di tutto rispetto... Camminò stizzito in cucina, aprì il frigo e prese una lattina di birra, quindi si voltò e si appoggiò col culo al ripiano di marmo del lavabo, sorseggiando la bibita con gli occhi persi nel vuoto. Rivangare il passato non era proprio una scelta opinabile, così come farsi il sangue amaro per una discussione che prevedeva, tra le altre cose, la sua capitolazione nel termine di un paio di giorni.


«Che coglioni, mi toccherà andarci, alla fine!» esclamò dandosi una spinta di reni e sollevandosi per tornare in salone. Si mordicchiò il labbro, ingollando altra birra, quindi abbandonò la lattina su una mensola e riprese il telefono dal sofà. Scorse i numeri sulla rubrica, con una mano sul fianco, e intercettò il nome che avrebbe potuto fare al caso suo. Cosa c'era di meglio di una sana trombata per scrollarsi di dosso tutto il nervosismo accumulato? Lui era tornato in città, d'altronde, glielo aveva detto una settimana prima e lui lo aveva liquidato con un messaggio lapidario.
«Bene, vediamo se ha tutta questa voglia di cioccolata fondente» mormorò portandosi il ricevitore all'orecchio, in attesa. L'uomo non si fece attendere, quasi stesse attendendo proprio la sua telefonata da ore. Quando si diceva il fascino del bel tenebroso...
«Liam? Sì, ciao. Senti, ma... non è che ti andrebbe di... Perfetto! Ci vediamo... ah, ok, allora tra mezz'ora qui. Il tempo di farmi la doccia e... Cazzone!» rise «Ok, ti aspetto» gli disse terminando la comunicazione. Quando si voltò aveva ancora il sorriso tra le labbra.
 Lanciò un'occhiata fugace a Billy, ancora acciambellato nella sua cesta e troppo stanco per badare a lui, quindi volò verso il bagno, togliendosi la t-shirt e i pantaloncini durante il tragitto. Fece una doccia veloce, poi indossò un paio di boxer corti e aderenti e si sedette sul sofà, i piedi sul tavolino basso in cristallo, ricordo dei suoi. Di suo padre, precisamente. Accese la tv, si sporse a prendere la lattina di birra, ormai calda, e ne bevve un sorso storcendo la bocca. Natale e non sentirlo...
«Cazzo, a casa, di questi tempi, se uscivi senza paraorecchie ti ritrovavi con i lobi blu dal freddo» borbottò alzandosi « e invece qui ti si sciolgono pure le palle, se non le tieni a bada. Dicembre e fa un caldo soffocante!» finì aprendo il frigo e prendendo una nuova lattina. In quel momento il campanello di casa suonò, così ne prese una seconda e si diresse verso la porta. Era praticamente nudo, il suo cane dormiva della grossa e fuori il sole ancora era alto nel cielo. Un pompino, sorseggiando una birra ghiacciata, sarebbe stato il toccasana per i suoi nervi. Appena aprì la porta, le lattine entrambe incastrate nella destra, Liam lo divorò con lo sguardo. Se non avesse avuto i pantaloni addosso, Dre avrebbe potuto vedergli il cazzo svettare oltre l'ombelico, ne era certo.
«Uhm... è così che mi accogli, Dre?»
«Vuoi sul serio chiacchierare, tesoro?» gli rispose facendosi da parte e lasciandolo entrare. Chiuse la porta, lanciando un'occhiata alla strada deserta prima di voltarsi verso l'ospite, ma non ebbe neanche il tempo di aprire di nuovo bocca. Liam lo sbatté contro il muro e fu solo per puro caso che le birre non scivolarono dalla sua mano, andando allegramente a imbrattare il parquet. L'impatto col freddo dell'intonaco quasi lo rinvigorì, mentre le mani dello scrittore già vagavano oltre i boxer alla ricerca del suo uccello.
«Irruente...» lo apostrofò afferrandogli la testa mentre quello scendeva leccandogli il petto.
«Non sai da quanto desideravo rivederti» mormorò in risposta Liam, inginocchiandosi davanti alla sua erezione scura e pronta. Dre cercò di ignorare il campanello d'allarme che quelle parole avrebbero dovuto segnalargli, chiudendo invece gli occhi e abbandonando la testa all'indietro al primo guizzo di lingua sulla cappella.
«Uhm...» mugolò quando Liam glielo prese in bocca d'un colpo, leccando forsennato tutta la sua lunghezza come se fosse l'unica cosa in grado di dissetarlo. Non pensava, in quel momento, e non esisteva altro che la lingua umida e morbida sulle sue palle. Strinse la mano sui capelli dell'uomo, un po' più lunghi dell'ultima volta, e ansimò quando con entrambe le mani quello iniziò a massaggiargli lo scroto. Un pompino così era quello che ci voleva per dimenticare quella stronza intransigente.
«Vieni, andiamo sul divano» gli disse d'un tratto lo scrittore staccandosi dal suo uccello e rialzandosi «voglio fotterti fino a sentirti urlare» continuò prendendogli una mano e conducendolo davanti al camino spento. Il cazzo in tiro, e ancora fuori dai boxer, Dre si lasciò guidare, quindi appoggiò le lattine, di nuovo calde, su una mensola e rimase in attesa. «Io non urlo, tesoro, dovresti saperlo» lo canzonò alzando un sopracciglio. Vide Liam spogliarsi degli abiti seriosi che lo avvolgevano, poi avvicinarsi afferrandolo per il mento e infilargli la lingua in bocca. «Oggi lo farai» gli disse prima di baciarlo di nuovo. Dre giocò con quella punta guizzante, dolce dei suoi umori, per il tempo necessario a trovare con le dita il cazzo che pungolava il suo. Entrambi nudi, si strinsero in un abbraccio passionale, fatto di forza e desiderio, e l'eccitazione ben presto giunse al parossismo, tanto che Liam lo voltò bruscamente facendolo calare con le braccia sulla testiera del divano. Dre chiuse gli occhi, sentendo il dito bagnato di saliva frugarlo, allargandolo, e aprì la bocca nel momento in cui fu qualcosa di ben più possente a penetrarlo rudemente. Non ricordava Liam così animalesco, ma la cosa gli piacque oltremodo. Fece per portarsi una mano sull'uccello, ma lo scrittore lo bloccò per il polso, piegandosi poi sulla sua schiena per poter essere lui l'artefice del suo orgasmo. Il silenzio nella stanza, ora, era rotto solo dallo schioccare delle sue chiappe contro le cosce possenti di Liam, a ogni affondo, e dai loro respiri affannosi, sempre più corti. Il ringhio di Liam giunse dopo pochi secondi, basso e carico di un orgasmo che giudicò potente quanto quello che si approssimava a provare lui. E l'urlo ci fu, in effetti, proprio come lo scrittore gli aveva annunciato. Non un grido virile, quanto un sospiro stridulo che gli mozzò il fiato in gola, mentre la testa girava e i fiotti del suo piacere si riversavano nel palmo chiuso del compagno.
«Direi che come inizio non c'è male» sussurrò lasciandosi andare a un sorriso che, stranamente, interessò anche i suoi occhi.
Una birra. Ci voleva una birra.

giovedì 3 dicembre 2015

La doccia

Girò la chiave nella toppa ed entrò fischiando sonoramente.
«Billy?! Hai finito di ronfare come un orso?» gridò allegramente chiudendosi la porta alle spalle. L'odore penetrante del nuovo profumatore alla vaniglia lo investì subito, nauseandolo. Chi cazzo glielo aveva fatto fare di comprare quell'affare disgustoso? Non avrebbe dovuto "profumare l'ambiente in maniera delicata e davvero gradevole, signore, vedrà... mi ringrazierà!"?
«Un cazzo» borbottò sfilandosi la giacca «fa uno schifo immondo. Vaniglia... Che cazzo mi è saltato in mente? L'ho sempre odiata, io...»
Si voltò e appese il soprabito alla gruccia in ferro battuto appesa al muro, quindi si tolse le scarpe mantenendo l'equilibro con una mano saldamente ancorata alla credenza dell'ingresso.
«Palla di pelo? Dove sei, scroccone?» chiamò di nuovo voltandosi verso la sala. «Solo io ho un cane che non gliene fotte un cazzo del padrone. "Carino, mi fa sempre le feste quando torno"» parafrasò in falsetto camminando verso la cucina «e io invece ho un sacco di pulci sociopatico. Ehi» disse fermandosi davanti alla cesta enorme quanto il suo cane, sotto le scale «ce l'ho con te. Almeno potresti degnarti di alzare la testa» continuò piegandosi sulle ginocchia. Billy aprì un occhio, mugolando appena, quindi si alzò sulle zampe, si scrollò energicamente in un trionfo di peli bianchi, poi sbadigliò pigramente.
«Ecco, sì, mi raccomando: manda quei cazzo di peli ovunque» lo apostrofò protraendo una mano per accarezzarlo «che poi c'è la serva, qui, che pulisce tutto... Cristo, che palle» aggiunse dandosi del coglione. Sua madre gli aveva fatto una testa così, quando era piccolo, sui commenti sessisti, ma a lui non entrava proprio in testa quell'argomento. Non lo faceva per cattiveria, era istintivo.
«Ma guarda tu se devo farmi tutte queste seghe mentali per una stronzata del genere» mormorò continuando ad accarezzare bonariamente il suo compagno con un sorriso mesto sulle labbra. Era stato un vero dramma trasportare Billy da Alberta a Melbourne, ma neanche i suoi occhioni tristi avevano potuto niente sulla decisione di andarsene via da quella casa. Tutto, lì, urlava dolore.
Si leccò le labbra, allargando le narici, e inspirò a pieni polmoni con lo sguardo perso nel vuoto. Avrebbe dovuto chiamare Rachel, ma il solo pensiero gli provocava un'ulcera perforante che desiderava evitare con tutte le sue forze. Sua sorella era tanto cara, ma una stronza...
«Avanti» si riscosse dando un'ultima pacca sul groppone di Billy «accendo il camino, mi faccio una doccia e poi mangiamo» concluse alzandosi e portando le mani ai fianchi. «Che dici, stasera bistecca per me e solita scatoletta per te? O vuoi quel pappone schifoso che puzza a tre chilometri di distanza?» chiese al cane osservandolo. Era talmente abituato a trattarlo come un suo pari che non si poneva il problema di sembrare uno stupido. E comunque non era stupido: quel pastore, ormai, era la sua famiglia.


«Ed ecco una nuova puntata dei dialoghi interiori di Dre Walker, signore e signori» proclamò cominciando ad armeggiare con la legna «ma questa volta dovete pagare il biglietto. Oh sì» continuò soffiando sulla scintilla appena avviata «perché mi sono rotto il cazzo di farvi da giullare, o sadico pubblico.» Osservò per un momento il fuoco crepitare nella nicchia di pietra, quindi si slacciò i primi bottoni della camicia e si incamminò verso il bagno. Fece scrosciare l'acqua, saggiandone il calore, via via più intenso, con una mano, quindi si spogliò e osservò il suo profilo davanti allo specchio. Come sempre una gioia per gli occhi.
«Quando ci vuole, ci vuole: sono un figo e me lo dico da solo... Ti credo che gli uomini fanno a gara per scoparmi» disse al proprio riflesso guardandosi su entrambi i lati. Schioccò le labbra e sorrise al suo doppio prima di entrare nella cabina doccia. Chiuse gli occhi appena il lento fluire dell'acqua lo avvolse, quindi inclinò il capo all'indietro e lasciò lo stress scivolare lungo il canale di scolo. Senza neanche averne percezione, portò una mano sul petto, accarezzando piano la pelle tesa, poi scese lungo l'addome fino ad arrivare al membro floscio. Non ci aveva pensato neanche per un attimo, prima di entrare lì dentro, ma ormai c'era... perché non approfittarne? Cominciò a massaggiarsi l'uccello, scegliendo con cura la situazione favorevole tra le innumerevoli fantasie a disposizione. Aveva trombato con così tanti uomini da avere l'imbarazzo della scelta. Mentre il sangue iniziava a fluire nelle vene in tensione, si leccò le labbra lasciandosi andare a un paio di occhi verdi che lo avevano catturato qualche mese prima. E con il cui proprietario aveva scopato alla grande per due ore. Era alto, fisico asciutto, occhi contornati da ciglia nere e folte, tanto che sembrava avesse messo il kajal - e forse era anche così, conoscendo alcuni tipi - capello riccio e moro, conturbante, e labbra da succhiacazzi conclamato. L'uccello iniziò a indurirsi, nella sua mano destra, mentre l'altra giaceva abbandonata lungo i fianchi. Quelle cazzate sul tenere occupato tutto ciò che si aveva a disposizione lo indispettivano. Per una sega erano sufficienti le dita di una mano sola, tutt'al più il palmo, ma l'altra? Cazzo, se stava ferma non succedeva proprio niente. Dischiuse la bocca, lasciando che l'acqua vi scivolasse dentro, accarezzando la lingua e lambendo i denti, mentre l'uomo dagli occhi verdi prendeva posto davanti al suo bacino in attesa che lo riempisse. E lo fece, giocando di polso in maniera un po' più accentuata, penetrandogli quelle labbra carnose e magnifiche e osservandolo succhiare a occhi chiusi tutta la sua lunghezza. Non si era mai potuto lamentare delle sue dimensioni, anche se non erano da record... ma in fondo a che serviva? A niente, appunto.
Gemette, aumentando la velocità e raggiungendo una dimensione parallela di piacere paradisiaco.
«Uhm» mormorò mentre lo sconosciuto leccava la cappella guizzando la lingua da una parte all'altra. Lo stava gustando come piaceva a lui, come avrebbe sempre voluto avvenisse, come...
Venne portandosi un pugno alla bocca, soffocando un rantolo spontaneo, quindi aprì gli occhi sorretto dall'ondata di adrenalina che lo aveva appena investito. Puntini neri e bianchi galleggiavano a mezz'aria ovunque volgesse lo sguardo, e si impose di respirare regolarmente, riportando anche i battiti cardiaci a più miti consigli. Niente di meglio di un cazzo di orgasmo in solitaria... A volte era meglio quello che una scopata in coppia. Si pulì sotto il getto d'acqua, insaponandosi con cura e risciacquando il corpo come un perfetto maggiordomo alle prese con un pavimento incrostato, quindi chiuse il rubinetto e uscì dalla cabina giusto in tempo per sentire Billy grattare alla porta in cerca di cibo.
«Che coglioni...» sospirò «Arrivo, mangiaufo a tradimento!» urlò al silenzio del bagno, quindi si tuffò nell'accappatoio, si immerse nella colonia e si vestì, pronto per una serata pigra e serena.

lunedì 30 novembre 2015

Il Castello Rospigliosi. I luoghi di Volevo solo te. Tra fantasy e realtà

Pur non essendo menzionato all'interno del libro, il Castello Rospigliosi occupa un ruolo fondamentale nei cuori dei cittadini della costa laziale in cui si svolgono le vicende di Volevo solo te. Maccarese, infatti, è legata a doppio nodo con il castello medioevale che troneggia al di là del ponte e che sembra sorridere, gentile, agli avventori già dalle mura esterne. Eppure non tutti conoscono le origini, davvero suggestive, che hanno determinato non solo l'aspetto, ma anche il nome di questo maniero passato quasi in secondo piano ai più, ma denso di storia.

Leggende popolari narrano che, nel XII secolo circa, la zona di Maccarese fosse infestata da un terribile drago e che tutti i residenti del luogo, cacciatori e  pescatori, ne fossero profondamente terrorizzati tanto da disperdersi ed evitare di frequentare le zone più isolate del paese. Con il passare del tempo furono proprio i cittadini a richiedere l'intervento del papa con l'intento di risolvere l'impasse che rendeva impossibile una pacifica permanenza nella zona. Fu per questo motivo che la chiesa bandì un torneo, a cui presero parte numerosi cavalieri delle famiglie romane più importanti, per stanare e sconfiggere il famigerato drago. 
                                                                               

Si narrava che la terribile creatura vivesse in una grotta poco distante dalla città e che lì si nascondesse; forti di questa certezza, i cavalieri si presentarono compatti sulla soglia della grotta (da qui il nome di Malagrotta) senza però sventare il pericolo. Il drago, infatti, uscendo dal suo nascondiglio terrorizzò tutti a tal punto da far scappare anche il più temerario. Soltanto Giorgio dei conti Anguillara rimase, stoico, al suo posto combattendo alacremente e cacciando la creatura seguendola fin sulle sponde del fiume Arrone.
                                                                                   


Nel punto in cui il drago scomparve sorse il castello che prese il nome di San Giorgio, oggi però conosciuto ai più con il nome di Castello Rospigliosi per via della famiglia che lo governò in epoca moderna.
Tuttavia sembra che la leggenda derivi dallo spauracchio di alcuni briganti che, tra il X e l'XI secolo, imperversavano nelle zone adiacenti il paese e che erano soliti depredare gli avventori. Tutto ebbe fine con l'intervento degli Anguillara che ottennero, in cambio, le terre di Maccarese dal papa dando inizio alla civiltà che poi mutò sotto il periodo del fascio.

Maccarese fantasy non l'avrei mai pensata... e voi? 

*fotoweb

giovedì 26 novembre 2015

Incontro alla fermata

Accadeva spesso, ultimamente... Che agosto di merda! Ancora doveva abituarsi alle stagioni alla rovescia di Melbourne. Cazzo, possibile che pioveva sistematicamente quando usciva da quel dannato ufficio? E pensare che lui, quel posto, lo adorava. Oddio, adorava... Diciamo che era stato il giusto compromesso dopo la morte dei suoi. Era letteralmente fuggito, con Rachel, e appena pochi giorni dopo quel pomeriggio...
Inspirò profondamente, serrando la mascella, e allargò le narici assottigliando gli occhi nel guardare le pozze d'acqua oltre la vetrata.
«Ok, dai... ti tocca» sussurrò indossando i guanti e preparandosi a uscire in strada. In verità non gli servivano a molto, quelle manopole, ma il desiderio di uniformarsi al clima e alla città era troppo forte. Buffo, considerando che di integrarsi seriamente non aveva proprio la più pallida volontà. Vuoi mettere un finocchio nero in pieno centro? Per carità, tutti bravi, tutti tolleranti, ma... La realtà era un'altra cosa, signore e signori.
Alzò un sopracciglio quindi sospirò, calandosi anche il cappello in testa, e uscì correndo, pronto ad arrivare alla fermata dell'autobus completamente fradicio.
Evviva, evviva!
Si fermò solo quando fu certo di trovarsi sotto la pensilina, quindi riprese fiato deglutendo a vuoto. Non aveva corso molto e a vederlo dall'esterno nessuno avrebbe mai pensato non fosse un tipo allenato. Sì, aveva un bel fisico, non poteva certo nasconderlo, ma era tutta eredità. Lui e le palestre viaggiavano su binari paralleli e ben distanziati, gente. E che cazzo, ma volete mettere dopo una giornata seduto, con le ossa rigide di parole e caffé, alzarsi e mettersi addirittura a correre? O tirar due pugni a quei cristo di palloncini marroni con un paio di guantoni? Ma neanche a pensarci.
Sofà, passeggiatina con Billy, un paio di birre e almeno una scopata a settimana.
Almeno.
Si rialzò, distendendo la schiena, e si asciugò una goccia di pioggia che gli imperlava la fronte. Per fortuna i capelli erano ancora asciutti sotto al cappello, ma il caldo stava rischiando di soffocarlo. Si strappò i guanti di dosso, poi passò al berretto e infine alla giacca che sbottonò di tre bottoni. Respirò, avvertendo un venticello piacevole accarezzargli la pelle accaldata dalla lana. Cazzo, doveva essere fuori di testa. La lana a Melbourne... la nostalgia di casa era troppo pressante. Ancora troppo, in effetti.
Agosto e non sentirlo.

«Caldo, eh? Uhm, non devi essere di queste parti...» si sentì apostrofare a un tratto da dietro le spalle. Si voltò, contraendo la mascella, e osservò il tipo seduto sulla panchina. Era perfettamente asciutto, ben vestito e con tutti i capelli in ordine. Soprattutto in giacca leggera e tenuta quasi primaverile. Snervante. Un cazzone snervante e pure rompicoglioni. Gli affari suoi no? "Non devi essere di queste parti..." e che cazzo ne sapeva, lui, di che parti era? Cosa, aveva per caso un aggeggio del futuro pronto a scandagliargli anche i peli del culo?
Carino, però.
Ecco, era più forte di lui. Al mondo ormai o erano carini o cazzoni. Vie di mezzo non esistevano, quindi doveva scegliere in fretta da che parte mettere quel dandy dal sorrisino enigmatico.
«Ci ho preso, no? E scommetto anche che stai pensando che io sia troppo carino per non provarci» continuò l'altro allargando le labbra, malizioso.
Cazzone. Sì, sì, indubbiamente cazzone. Biondino, occhi chiari, fisico asciutto e cazzone. E ti pareva?!
«Veramente mi chiedevo perché non ti facessi i cazzi tuoi, ma tu continua pure a pensare ciò che vuoi» lo gelò.
Come mai doveva essere sempre così stronzo? Era la pressione alta oppure una sorta di pulsante on/off sulla gestione degli aspetti sociali della sua vita? Era perennemente incazzato, c'era da dirlo. E... Be', sì, prima non era così. Prima dell'omicidio, prima della fuga, prima di tutto... Prima era stato solo un finocchio nero canadese con una vita tutto sommato soddisfacente e il sorriso sulle labbra. Non sempre, ma quasi.
«Ehi, amico, scusa... Non potevo immaginare ti girasse male» mormorò l'altro a disagio. Non seppe perché, ma provò un inusuale senso di soddisfazione nel sentirlo così... debole. Oddio, stava diventando una specie di bastardo malato di potere? Cazzo, cazzo, cazzo!
«No, scusa tu... è che la pioggia mi mette di cattivo umore» capitolò mettendosi seduto accanto a lui «e hai ragione. Non sono di qui. Devo ancora abituarmi alle stagioni diverse.Non dico che a quest'ora sarei stato in mutande, ma poco ci manca» disse tentando un sorriso di riconciliazione.
«Uhm... non male la prospettiva» stette al gioco l'altro. Era di facile ripresa... l'asta tra "cazzone" e "carino" riprese a oscillare. Così come il suo uccello, ma quella era un'altra storia.
«Senti, che ne dici di scambiarci i numeri?» riprese il dandy «Potrei aiutarti ad ambientarti in città... prima di quanto faresti tu, si intende. E magari potrei insegnarti ad amare la pioggia d'agosto. Ha qualcosa di poetico» concluse ammiccando.
Alt. Fermi tutti.
Dre ricordò improvvisamente che c'era un terzo livello da considerare nella valutazione dell'ignoto, oltre "cazzone" e "carino", anche se non gli capitava mai di tirarlo fuori al primo incontro. Quel tipo, comunque si chiamasse, lo aveva raggiunto con due frasi in croce e la cosa non andava affatto bene.
Quel tipo era un dannatissimo cacciatore d'affetto. Lo guardò allargando le narici, provando una bruttissima sensazione di freddo addosso. La mente prese a urlare "allarme rosso, allarme rosso" e non poté fare a meno di seguirne le scie luminose. Si alzò di scatto e, sorridendo, si morse un labbro.
«Sai, io...»
«Ok, ho capito, non sei il tipo. Be', io ci ho provato. In ogni caso tieni, questo è il mio biglietto da visita» gli disse sporgendosi e porgendogli il cartoncino «dovessi sentirti solo o nostalgico... adesso sai come rintracciarmi. Bene» continuò alzandosi a sua volta «il mio autobus sta arrivando. Ci si vede, bel moro» concluse ammiccando e dandogli un pizzicotto sul culo.
Cazzo, ma... davvero? Dre strabuzzò gli occhi prima di vederlo sparire oltre le porte aperte del bus. Si leccò le labbra, quindi osservò l'uomo cercare posto e l'autobus ripartire di gran carriera. Solo dopo qualche secondo si avvide del biglietto nella mano destra.
Gregory Smith.
Alla larga. Cazzo: alla larga!


*foto web

mercoledì 25 novembre 2015

domenica 22 novembre 2015

Contro la violenza, tutti uniti il 25 Novembre... Solo?

Da un mese a questa parte sento parlare del 25 Novembre. Fino a un paio di anni fa quel giorno per me ha sempre voluto dire solo una cosa: regali, torta, me (sì, è il mo compleanno e scusate se è poco). Poi qualcuno ha deciso che il 25 Novembre sarebbe diventato il giorno internazionale della lotta alla violenza contro le donne. E mi sta benissimo, oltretutto per me è quasi un segno. Ho sempre combattuto contro questa piaga sociale che mi ha vista anche vittima, oltre che combattente, quindi mai coincidenza fu più gradita. Però... Però ce ne sono parecchi, di però.
Sono anni che sento persone esasperate dal giorno della festa della donna, ascoltando anche cose obbrobriose come "Aboliamo la festa!" "Non serve a nulla, è solo una cosa commerciale" e varie amenità simili.
Ho visto magliette, striscioni e compagnia cantando, in questo periodo, concorsi a tema e tanto altro, riguardante la giornata contro la violenza blablabla... Non è che tra un altro paio d'anni inizieranno, i soliti rompicoglioni (e perdonatemi, è così, sti guastafeste moralisti che stano sempre a puntare il dito e che mi chiedo se trombino mai, a volte) a gridare "La violenza non si combatte così, è una trovata commerciale e blablabla"? Non mi stupirebbe, ragazzi, tanto più che già sento la gente dire che il femminicidio è una pura invenzione dei media.
Dunque, dunque, facciamo chiarezza.
La violenza esiste, il femminicidio esiste (e non è che scompare se c'è o no una parola adatta al caso) come è una realtà il maschilismo ancora tristemente presente nella società occidentale (tanto perché noi siamo quelli con la cultura) ma c'è tanto altro, dietro, di cui non si parla mai. Forse è giunto il momento di sollevare la coperta dei luoghi comuni, e di ciò che ad alcuni fa comodo far passare, e andare in fondo alla questione. Perché non si parla mai delle mamme ancora costrette a licenziarsi (nonostante a tanti piaccia dire che no, noi l'abbiamo estirpata st'usanza, non succede più) o delle eterne stagiste che guardano gli altri far carriera. E vogliamo parlare della notizia tornata in auge qualche settimana fa degli stipendi che fanno ridere a parità di livello tra donne e uomini? Oppure, ancora, della violenza psicologica che le stesse donne perpetrano nei confronti delle altre se, poco poco, si permettono di andare in giro in mini il giorno della donna, magari per recarsi poi in un locale o in un ristorante? Voi non avete idea di che capitolo dovrei aprire in quel caso e ve lo risparmio semplicemente perché c'è una cosa che mi preme ancora di più dire.
Quante di voi, nella loro vita, hanno provato l'ebbrezza delle avances sul posto di lavoro? Quelle pressanti, quelle talmente scomode da essere difficili pure da declinare. Quelle in grado di far sentire sporche pur non avendo mai fatto nulla di male. Quelle che ti si attaccano dentro, come lo sguardo lubrico e viscido di chi non ha nulla da perdere se non un'altra pedina facilmente sostituibile.
Di questo non se ne parla mai, ma permettetemi: anche questa è violenza. E delle peggiori. Non solo perché rientra nella sfera della violenza psicologica, ma anche perché mina il diritto al lavoro, alla normalità, alla parità. 
E allora la D'Ascani ha deciso di mettersi in mezzo alla questione, come sempre nel suo piccolo, perché crede sia giusto offrire una panoramica di ciò che questa grandiosa società ci regala. Che società, no? In grado di seppellirti con una risata, quasi...
Vi offro uno spunto di riflessione, un momento dedicato alla crescita di un pensiero.
Vi offro Storia di una precaria comune, un breve racconto che spero, però, riesca a trasmettere cosa significa essere oggetto di attenzioni per nulla volute.
Credetemi, sono tante, troppe, quelle ancora trattate come Eva la peccatrice.
Ma Eva siete anche voi, sono anche io.
Eva era donna: ricordatevelo e fatelo per voi stesse, se non per le altre.


venerdì 13 novembre 2015

Volevo solo te: la vera protagonista

Siamo giunti a due giorni dall'uscita della versione cartacea di Volevo solo te. La copisteria sta lavorando alacremente e in questo momento un bel po' di copie in bianco e nero con banda rossa stanno sfilando sui nastri una dopo l'altra, allineandosi composte in attesa di trovare il proprio posto nel mondo.
Nelle vostre case? Probabile. In libreria? Forse...


Ma c'è una cosa ancora più importante, che si muove sotto quel bacio intenso che è la fotografia di un amore ancora da scoprire...
Flora, che ancora sogna, ancora corre nell'erba, ancora arrossisce per uno sguardo intenso rubato nei campi.
Flora che non sa e non vuole sapere cosa significa crescere. O forse sì: forse desidera così tanto conoscere la vita che ne fugge per la paura che l'emozioni la sovrasti.
Flora, una ragazza d'altri tempi con l'innocenza propria delle adolescenti tumultuose.
Ed ecco che oggi parleremo della mia splendida protagonista, una ragazza bellissima, dal corpo in evoluzione, con un amore sconfinato nel petto e un mondo da scoprire negli occhi.
Perché Flora è dentro di voi, dentro di me. Flora è il nostro fanciullo interiore.
Amatela come io ho amato lei.

FLORA
La mattinata trascorse nel timore e nella speranza di rivedere quel ragazzo senza nome, mentre le gambe solerti pedalavano e macinavano chilometri con la stessa lena con la quale le donne raccoglievano il grano in luglio e stipavano il fieno nei silos. Molti pensavano erroneamente che la sua mansione fosse più leggera di tante altre, ma correre come faceva lei tutto il giorno, piegata nello sforzo di filare via carica di acqua, era tutto fuorché semplice. Lo sapeva bene il suo fisico, adattato allo sforzo fisico e modellato di conseguenza. Il seno abbondante , sul ventre piatto e il vitino da vespa di cui tanto andava fiera, era l'unico ingombro di cui avrebbe fatto a meno durante le cavalcate forsennate in sella al suo inseparabile mezzo a due ruote, questo almeno fino al momento in cui non le capitava di specchiarsi nei vetri degli spacci aziendali. In quei frangenti poteva ammirare estasiata la sua figura, provando un guizzo di orgoglio e un brivido di eccitazione nell'osservare ogni sua curva voluttuosa che sembrava gridare desiderio a ogni fremito. Quando giunse nei pressi del campo dove lavorava quel ragazzo dagli occhi penetranti, quindi, non ci pensò due volte a togliersi il fazzoletto dalla testa e scuotere i suoi lunghi capelli ramati, selvaggi nella massa fulva che era fiera di ostentare alla luce del sole.




 Uscì dall'acqua e notò come gli ultimi raggi di sole che filtravano tra gli alberi le cadessero addosso giocando col pulviscolo fine che le vorticava attorno. La sua pelle riluceva nel riflesso dorato del tramonto facendola sentire sensuale, bella come mai si era sentita. Il pensiero del suo appuntamento notturno le accelerò i battiti del cuore e le illanguidì le membra, inducendola a sorridere di nascosto per il suo dolce segreto. Sentendosi osservata alzò lo sguardo giusto in tempo per notare un paio di occhi chiari sparire oltre le fronde degli alberi dirimpetto al canale e le guance tornarono a imporporarsi. Le sue labbra dipinsero una “o” sul volto stupito e lo sconcerto iniziale cedette subito il passo all'emozione e alla meraviglia. Era lui? Davvero l'aveva vista nuda? E cosa aveva pensato? Le era piaciuta? Gli occhi lucidi di incredulità, afferrò l'asciugamano e iniziò a tergersi l'acqua di dosso. Ascoltò distrattamente Nilde blaterare qualcosa senza realmente dare peso alle sue parole. Quegli occhi le erano entrati dentro, cantandole una melodia impossibile da ignorare.


martedì 10 novembre 2015

Volevo solo te, i personaggi #3

In ogni romanzo che si rispetti, non può mancare il cattivo. Per lo meno non nei romanzi che presuppongono un grande amore. In fondo senza ostacoli non ci sarebbe il pathos necessario a voler davvero essere l'uno nelle braccia dell'altro no?

Ma chi è davvero il cattivo di Volevo solo te?
Renzo Lorenzin è davvero così meschino come vorrei dipingerlo? E chi era, nella realtà?
Come per Miss Gioconda, personaggio strettamente collegato al nuovo fattore dell'azienda, lascerò che siano le parole del Lorenzin a raccontarvi del suo carattere e del suo modo di muoversi tra le persone.
E ricordate che Renzo non è solo scaltro e subdolo, ma anche dannatamente bello.
Come ogni cattivo conturbante che si rispetti!

Renzo


Schioccò le labbra, dondolando sui talloni, mentre le dita scivolavano lungo gli straccali e si andavano a incuneare tra i pantaloni e la camicia intrisa di sudore. Si sarebbe rassettato prima di uscire a festeggiare. La prima notte in quel luogo non poteva trascorrere senza una puntata nei bordelli di Roma di cui gli era stato parlato assai bene dagli amici emigrati prima di lui. Catturò con lo sguardo l'immagine di Lucia intenta già a disfare le valige e decise di sfogare i propri bollori in quello stesso momento, per evitare inutili perdite di tempo più tardi. In fondo se doveva pagare qualche puttana, era bene farlo a ragion veduta e non per una sveltina regalata per la troppa fretta di infilarlo nel buco adatto. Rimase in silenzio, osservando le forme generose di sua moglie. Inadatta al concepimento di prole, era soddisfacente almeno tra le lenzuola, non fosse altro che almeno era docile e remissiva quanto bastava per esaudire ogni sua turbolenta fantasia. Attese, come un ragno sulla tela, finché la donna non gli passò di fianco per andare a prendere la sua valigia ancora a terra di fianco alla porta. Con uno scatto fulmineo del braccio la accalappiò cingendole la vita e togliendole il fiato. Incredula, per nulla preparata a quell'assedio, la donna annaspò nel vuoto, atterrando poi con i palmi aperti sul legno duro e fibroso della tavola su cui avrebbero desinato da quel giorno in avanti. La sentì sospirare, irrequieta, quindi rassegnarsi docile ai suoi voleri.
«Brava, mogliettina, sai cosa voglio» le sussurrò, avvicinandole la bocca all'orecchio. Le sciolse la severa crocchia con cui aveva ordinatamente acconciato i capelli alla nuca, quindi le scompose la massa nera di riccioli che cadde sulle schiena e sul tavolo scuro.

«Abbassati e allarga le gambe» le ordinò, mentre con una mano armeggiava con la patta dei suoi pantaloni per tirare fuori il suo membro, svettante e pronto. Lo eccitava il potere che il suo ruolo gli conferiva. Non solo di fattore, ma anche di marito.


«Be', comunque non c'è molto da spiegare, mia cara Flora» continuò poi, avvicinandosi. In poche falcate le fu di fronte. Il bacino all'altezza del suo volto. Pensò di alzare lo sguardo, ma si rese conto di essere in una posizione equivoca e davvero sgradevole. Se lo avesse guardato, la prospettiva dal quale l'avrebbe fatto sarebbe stato dalla cintola in su e, per quanto il suo corpo ne fosse tentato, si ritrasse impercettibilmente sul pavimento guardando un punto imprecisato a terra. Rimasero in silenzio per parecchi secondi, come se il fattore volesse mettere alla prova la sua curiosità, quindi lo sentì piegarsi sulle gambe e portare il volto all'altezza del suo. Le sollevò il mento, costringendola a guardarlo. Flora sentì lo stomaco contrarsi in un miscuglio tra desiderio, adrenalina e fastidio. Non riusciva a decifrare i suoi sentimenti, ma seppe chiaramente che non erano gli stessi che provava con Fausto.

Dal 15 Novembre Volevo solo te (clicca sul nome per scaricarlo in ebook) sarà disponibile anche in cartaceo!
*foto Web  

domenica 8 novembre 2015

I personaggi di Volevo solo te: post #2

In occasione dell'uscita in digitale del mio nuovo romanzo, non posso esimervi dal farvi conoscere il personaggio più delicato, particolare e così colmo di sfaccettature da meritare, forse uno spin off (già in mente, lo ammetto) in un prossimo futuro. Non potrei farne a meno, la sua vita è troppo importante per non essere divulgata.
Di chi sto parlando?
Bene, la prendo alla larga.
Tempo fa vi ho parlato dei lupanari, i vecchi bordelli della capitale in cui il sesso a pagamento altro non era che la normalità. In questi luoghi non era difficile incontrare personalità di spicco o poveracci, ma una costante rimaneva, come una luce intensa e mai prossima alla morte: tutte le donne impiegate a dar piacere a chi si avventurava nelle loro stanze.


Miss Gioconda, quell'attrice non protagonista che, a mio modesto parere, merita un premio dalla critica, si colloca in un contesto simile, avulso dalle dinamiche della storia tra Flora e Fausto, eppure strettamente collegata a essi non sapendone assolutamente nulla. Credo sia uno dei personaggi più riusciti di tutta l'opera e per tanti motivi che spero possiate cogliere voi stessi dalla lettura.
Ma non vi svelerò la personalità di questa grande donna con parole inventate al momento: sarà direttamente la sua voce a parlarvi. Perché Miss Gioconda non deve nulla a nessuno se non a se stessa!

Miss Gioconda


«Ti aspettavo, maschio, Puntuale come sempre.»
Gioconda era lì, seduta su una sedia, davanti alla grande madia, con una gamba accavallata sull'altra e una mano tra i capelli. Una camicia di seta si apriva sbottonata sul seno, rivelando i capezzoli rosei che svettavano turgidi, lisci e brillanti nel trucco che era solita cospargervi sopra. Una collana di perle scendeva nell'incavo tra le due piccole colline, seducenti senza essere prorompenti Non che Renzo non adorasse sprofondare in un seno florido, ma riconosceva il potere della seduzione quando lo vedeva... Una gonna cortissima celava a malapena i riccioli del pube lasciati nudi dalle mutandine che giacevano tra le unghie laccate di rosso e che la donna sventolava nella mano libera. Le gambe erano fasciate da calze velate nere trattenute da reggicalze la cui corsa finiva sotto il gonnellino. Gioconda si leccò le labbra lasciate naturali e ammiccò, seducente.



«Non fare la stupida, ora» sibilò al suo riflesso, impedendo alle lacrime di rompere gli argini. Portò la sigaretta alle labbra, guardandosi, e aspirò una lunga boccata di fumo. Chiuse gli occhi poi buttò fuori la voluta azzurrognola che si perse tra i raggi del sole filtranti dalle imposte chiuse. Lì era sempre tutto chiuso, ma non le sue cosce. No, quelle dovevano rimanere aperte per tutti. Si leccò un labbro, sollevando un sopracciglio e sbatté le palpebre in un'espressione conturbante. Era abituata a fingere, lo avrebbe fatto fino alla morte. A breve Lucille avrebbe iniziato a chiederle spiegazioni circa le sue lunghe assenze e allora avrebbe dovuto inventare qualcosa. Qualsiasi cosa, pur di non ammettere la “vita”. Non si vergognava del suo lavoro, ma non voleva assolutamente che sua figlia ne seguisse le orme. Somigliava così tanto a suo padre... Si alzò, furente con se stessa, quindi spense la sigaretta nel posacenere e si spogliò. Quando rimase completamente nuda arrischiò uno sguardo verso lo specchio, ammirandosi.
«Come mi vesto, oggi?» cinguettò al suo riflesso, l'ombra della donna inquieta che era stata fino a pochi istanti prima nella luce del suo sguardo.


Oggi esce Volevo solo te (clicca sul titolo per scaricarlo direttamente da Amazon) in formato digitale. In attesa della su versione cartacea, potete iniziare la lettura, immergendovi nella magia!

*Foto Web

venerdì 6 novembre 2015

Volevo solo te: i personaggi #1

Manca poco, ragazzi, una manciata di giorni.
A cosa?
Al cartaceo, al digitale... Volevo solo te è ormai una realtà e lo sarà per chiunque vorrà leggere una storia d'amore possibile in un periodo dimenticato da molti. Ma non da tutti, chiaro.

In ogni caso bando alle ciance, di storia ne abbiamo parlato fin troppo negli ultimi periodi (non credete... tornerò!) quindi direi di passare a presentare i personaggi principali che vi terranno compagnia nelle prossime settimane.
Parlare di tutti, oggi, sarebbe impensabile. Tanto il romanzo è breve quanto la psicologia di ogni singola persona ritratta tra le pagine è immensa. 
Inizieremo con calma e, oserei dire, dal più bello di tutti. L'ho creato io, so di che parlo. 
Partire "col botto"? E perché no? In fondo di un libro si può prendere ciò che si vuole e girarlo a proprio piacimento con la forza dell'immaginazione. La bellezza che risiede nella lettura coinvolge anche e soprattutto questo aspetto.
Be', che dire... Buon viaggio ;)

Fausto




Era lui ed era più bello di come lo avesse ricordato per tutta la notte. Il torso nudo riluceva sotto i raggi torridi del sole quasi allo zenit e i pantaloni gli cadevano larghi oltre le ginocchia, ma non sulle cosce, tornite, possenti e chiaramente intuibili sotto la stoffa leggera e aderente. Aveva un torace scolpito, tale da fare invidia alle statue che solo una volta Flora aveva visto in Piazza Venezia, e le braccia richiamavano pensieri oltremodo peccaminosi e dediti alla lussuria più sfrenata, di cui lei non conosceva nulla, ma che immaginava con la forza del desiderio appena natole in petto. Temette di morire di crepacuore, tanto quello correva forsennato fino alle tempie. Notò un sorriso buono, largo e sensuale dipingersi sul volto bronzeo del ragazzo e udì un coro di angeli, che nella realtà altro non era che il chiacchiericcio divertito delle donne di fianco a loro


«Sei venuta, allora» si sentì apostrofare da dietro le spalle, a bassa voce; una mano le sfiorò il braccio delicatamente. Il cuore le balzò in gola battendo all'impazzata, ma non osò muoversi. Lasciò che Fausto le si avvicinasse ancora di più, aderendo il corpo al suo.
Chiuse gli occhi, tentando di respirare per non svenire dalla gioia. Poteva sentire il respiro calmo del ragazzo lambirle l'orecchio destro, le sue braccia forti cingerle la vita, il cuore di lui suonare all'unisono col suo in una danza arcana e misteriosamente veloce.
«Non sai che regalo sia per me vederti qui. Non riesco a non pensarti dal primo giorno in cui ti ho vista» le sussurrò, scostandole i capelli dal collo e posandovi le labbra. Flora trattenne il fiato, mentre un liquido caldo le inumidiva le cosce nude. L'unico ostacolo tra il suo corpo e il buio della notte era la leggerissima camicia con la quale era solita dormire. Avvertì l'erezione del ragazzo spingerle contro le natiche e il suo cuore accelerò ancora, come se fosse in grado di farlo senza ucciderla. Avvertì le labbra morbide di Fausto baciarle timidamente la base del collo, facendola rabbrividire  al punto che si sentì tanto sfrontata da offrirgli maggior spazio inclinando la testa di lato. Senza volerlo gemette e questo risultò un chiaro invito a proseguire. Le braccia del suo moro la cinsero ancora più stretta, mentre i baci si facevano più audaci, risalendo lungo la curva dolce che portava dritta alle sue labbra dischiuse. Flora temette di accasciarsi al suolo, perché le sue gambe divennero tanto molli da non reggere il suo peso senza tremare.


«Stai tremando» le baciò addosso Fausto, e lei fu in grado solo di annuire lentamente portando le mani sopra quelle di lui, ferme ancora sul ventre. Erano calde, forti, grandi quel tanto che sarebbe servito ad amarla come aveva sognato durante le settimane passate. Si morse il labbro, desiderando fare la stessa cosa con la bocca di lui, tanto che si fece audace e mosse il volto verso la sua direzione. E lo trovò, pronto, conturbante, lo sguardo brillante nella luce della luna piena. Si fissarono e Flora seppe che non c'erano discorsi da fare, parole da cercare, frasi a effetto da cantare. Le loro labbra si cercarono nello stesso momento e si trovarono, di conseguenza, iniziando a rincorrersi in un gioco sconosciuto a entrambi, ma naturale come lo era bere. Flora fu la prima a dischiudere le sue, anelando qualcosa di più. Fausto rispose prontamente, leccandole via il sapore del timore, della vergogna, del piacere di saperlo vicino. E d'un tratto i loro corpi immobili presero vita, desiderando di comune accordo una vicinanza diversa

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sabato 31 ottobre 2015

Oggi si festeggia Halloween, ma... a Roma la notte delle streghe era un'altra!

La notte delle streghe è arrivata... Ma ne siamo proprio sicuri?
Dolcetto o scherzetto... O lumache?


Ciò che negli ultimi anni, ma direi anche nell'ultimo secolo, si è perduto è il sapere, la conoscenza delle tradizioni nostrane. Lo spirito pagano che accompagna la notte della vigilia della festa di Ognissanti, ormai in tutto il mondo, è così simile a una festa romana perduta che il paragone è automatico, per chi sa. Non dimentichiamo, inoltre, che la festa di Halloween è una festa importata, americana (anche se dire anglosassone sarebbe più corretto) che fa eco a uno dei sabbah più importanti e che rimanda, quindi, a quell'epoca in cui i contadini festeggiavano la natura e non i santi.
Ma questa è una questione lunga che richiede altre pagine. Oggi voglio parlarvi di altro.

Voglio parlarvi della vera notte delle streghe. Quella che a Roma viene identificata, o veniva, con il
24 giugno, San Giovanni.
La notte in cui le vecchie nasute andavano in giro per la città a catturare anime. I cittadini si riversavano da ogni rione, già dalla sera della vigilia, nelle strade a far baccano con trombe e altri strumenti pur di scacciare le creature del diavolo e salvare se stessi e i propri cari. Ma non solo, è questa è la genialità di un tempo. Il frastuono provocato dai romani serviva per impaurire le streghe affinché non avessero modo di raccogliere le erbe necessarie ai loro incantesimi.


Il pellegrinaggio terminava in San Giovanni in Luterano per pregare e mangiare lumache nelle varie osterie. Sì, lumache. Perché forse oggi non molti lo sanno, ma era uno dei piatti forti della cucina romana. Quella vera. Quella dei nonni, ormai quasi perduta del tutto.
La festa poi proseguiva fino al giorno dopo e terminava nel momento in cui il papa si recava a San Giovanni per celebrare la messa e gettare monete d'oro e d'argento per la gioia della folla accorsa.



E il 31 Ottobre, direte voi? Cosa si faceva nella vigilia della festa di Ognissanti?
Semplicemente si commemoravano i morti, mangiando accanto alla tomba di un parente caro o andando, muniti di torce, sulle rive del Tevere a perpetuare il rito per tutte le anime perdute tra le acque del fiume.


Quante cose abbiamo perduto della tradizione?
Credo troppe...

Fonti e foto: Roma Sparita, Intrage.it, Turismoroma.it

mercoledì 28 ottobre 2015

L'emigrazione veneta

C'è stato un tempo in cui il Veneto era terra di migrazioni frequenti e Wikipedia recita che già prima dell'annessione al regno d'Italia lo fosse.
Molti non lo sanno, eppure è così. Scrivendo Volevo solo te ho scoperto cose talmente interessanti su questa popolazione (perché è il caso di cominciare a chiamarla così) che mai avrei immaginato. C'è, pensate, una città in Francia chiamata Vannes proprio in onore dei fondatori italiani. E ancora in Brasile, in America, in Germania, Svizzera, Ungheria... i veneti sono ovunque.
Scherzando a mio marito, tempo fa, dissi che sono come i Gremlins... Ricordate quel film fantasy di tanti anni fa? I simpatici esserini pucciosi si moltiplicavano a contatto con l'acqua... Be', ragazzi, è così: loro sono tra noi! Potete andare ovunque: un veneto vi avrà preceduto.
Perché?

Le motivazioni posso soltanto immaginarle, vivendo io stessa a stretto contatto con molti di loro. La serietà, la responsabilità e l'attaccamento alla famiglia e al lavoro, oltre che alla terra.
Ma c'è anche altro e questo ci riporta al contesto storico di cui ormai parliamo frequentemente. Dunque... veniamo a noi.Tra il 1932 e il 1939, mentre ancora molte zone di Maccarese risultavano paludose e soggette alla lunghissima opera di bonifica, circa 3000 famiglie giunsero nella Pianura pontina per lavorare e colonizzare la terra per volontà del Duce. Di queste quasi 3000 famiglie ben il 60% era veneto e non era una scelta casuale, ma ben ponderata da parte del regime. Si aveva infatti la necessità di immettere una popolazione con comprovata vitalità e prolificità e la regione che meglio si sposava con queste esigenze era appunto quella veneta.

All'epoca si aveva una costante lotta all'urbanesimo, guerra voluta dal Duce per evitare la prolificazione di borghi, per diminuire i costi portati da una città numerosa e, in generale, per garantire il ruolo solitario e lavoratore del contadino medio. Questo significa che quando giunsero queste famiglie in pianura, la vita non fu per nulla semplice. Le case erano decisamente lontane le une dalle altre, non c'era quasi nulla e quel poco era determinato dal duro lavoro. Insomma, un sorta di incubo che nell'intero agropontino vide la realizzazione di vere e proprie città lavoro.
Sapete che qui a Maccarese gli effetti della bonifica sono ancora ben visibili e presenti? Se dovesse accadere, per caso, che le idrovore utilizzate all'epoca, e modernizzate certo, cessassero di lavorare, in pochi mesi si avrebbe lo stesso scenario che quelle famiglie trovarono al loro arrivo qui. Assurdo vero? Eppure affascinante...


Comunque, per la cronaca, esistono associazioni di Veneti nel mondo e addirittura Onlus e quelli all'estero hanno combattuto per veder riconosciuta la lingua veneta antica, da loro ancora parlata, accettata dalla regione nel 2007. Se pensavo che solo a Maccarese ci fosse una situazione simile, sbagliavo!
Una domanda sorge spontanea: ma quanti saranno mai?

lunedì 26 ottobre 2015

L'Italia del Duce e il Nord al Sud

C'è una cosa comune nella visione idilliaca del fascismo e del nazismo e questa cosa rese quasi folli i rispettivi capi di governo, perché galvanizzati da un'idea talmente grande di città da essere scambiati facilmente per esaltati. Questa nota che metteva in relazione le due dittature si riassumeva in una sola parola: Roma. Della serie: l'impero romano colpisce ancora.
Ah, questi romani, conquistatori grandi e forti, colonizzatori indiscussi e dall'architettura che ancora oggi resiste in varie parti del mondo.

Ovviamente, se si deve essere grandi, si cerca di ispirarsi ai migliori: gliene fareste un torto a quei due lì? Assolutamente. Ciò che interessa le città lavoro e l'architettura che Gentile chiamò "fascismo di pietra" è ciò che forse più di tutto decretò il positivo di quel governo passato di cui ancora notiamo gli effetti oggi. In Italia, per lo meno. Della Germania, adesso, poco ce ne importa.


Il Duce, appena insediatosi, iniziò subito a promulgare le sue personali visioni di gloria e grandezza e bisogna riconoscergli il merito del carisma e dell'effettiva laboriosità della sua mente che in effetti concretizzò un bel po' di cose per tutta la penisola. Tra palazzi, istituzioni, leggi innovative (ragazzi, gli va riconosciuto) ci furono anche le cosiddette città lavoro di cui si parlava poc'anzi. In un paese "alla frutta" la creazione di lavoro era vista come un miracolo. Be', ne sappiamo qualcosa di questi tempi, no? Eppure non crediate che le motivazioni del Duce fossero così nobili. Lui voleva una colonizzazione del suolo urbano, dichiarando di fatto guerra alla Roma reale che fino a quel momento era rimasta inerte a osservare il paese uscire dalla Grande Guerra. In rotta anche contro l'urbanizzazione eccessiva, specialmente quella che aveva visto la popolazione rurale riversarsi nelle città, decretando quindi, secondo il regime, un abbassamento della natalità oltre che il dispendio ulteriore di fondi per la creazione di nuove scuole, chiese, ospedali, il Duce promulgò l'importanza della terra e del lavoro nei campi. Una novella Rossella O'Hara italiana con la terra di Littoria tra le mani e lo sguardo perso verso l'orizzonte, insomma.

Fu così, proprio così, che numerose cittadine videro la luce, vedendo il trasferimento dell'intero Nord al Sud e quasi mai viceversa. Tra tutte, molta risonanza, anche mediatica, la ebbe la "Pentapoli" pontina, costituita da: Littoria, Sabaudia, Pontina, Aprilia e Pomezia.
Rifacendosi al modello ostiense di bonifica, per mano soprattutto dei Ravennati, il Duce dispose vere e proprie città lavoro che qui dove abito io si tradussero principalmente nell' Azienda di Maccarese. Quasi tutti veneti e lombardi, con una spruzzata di abruzzesi qui e lì (a Fiumicino, per esempio, sono tantissimi i napoletani) i contadini assunti rivoltarono e abitarono queste terre, dando vita alle città che tutt'ora viviamo.

E quando dico che le viviamo ancora oggi, intendo dire che in molti posti sembra essere rimasti cristallizzati agli anni 30. Come a Maccarese, paese in cui di romani romanacci ce ne sono ben pochi. Strano, vero? Eppure nessuno lo sa. E mi viene da ridere quando si parla di differenza tra nord e sud, tra la metodologia di lavoro propria dell'Italia del meridione, del mezzogiorno e del settentrione perché, proprio qui, c'è un raccordo di tutte le parti della penisola ed è proprio questo che rende grande e particolare questa realtà.
Adesso capite perché ho voluto scrivere Volevo solo te?
  

giovedì 22 ottobre 2015

I lupanari... i luoghi di perdizione dell'Italia di una volta

Secondo voi è proprio vero il detto "si stava meglio quando si stava peggio"?
Non lo so, ma so di certo che le persone che "bazzicavano" gli anni 30 lo avrebbero pensato. Per la libertà che si respirava. Ovviamente parlo di quella maschile. Il femminismo iniziava le sue strenue lotte, ma con l'avvento del fascismo era sedato e ridimensionato a ogni tentativo di protesta.
E veniamo a noi...
I lupanari, le famose case chiuse.
Ovviamente non erano presenti solo a Roma e, forse, i più famosi luoghi di perdizione non erano neanche propri della capitale, eppure erano una solida realtà, pronta a realizzare i sogni dei giovanotti "di primo pelo" e distendere i pensieri dei signori più "maturi". E, per quanto recarsi in quelle case non fosse uso rispettoso verso la moglie, era pratica normale frequentarli, oltretutto ben più antica degli anni 30, come sappiamo. D'altronde non si è forse sempre detto che la meretrice è il mestiere più antico del mondo? Caligola lo sa bene!


A Roma erano in voga i bordelli de la Suburra, oppure nei dintorni del Circo Massimo, ma ce n'erano di minori sparsi per tutti i quartieri della città. Sapete perché si chiamavano bordelli? Perché inizialmente erano luoghi costituiti in villini situati ai bordi della città. Sotto il periodo del fascio, Mussolini dispose che attorno a ognuno di essi venisse eretto un muro, detto "del pudore", non più alto di dieci metri: piccolo paravento per una pratica vecchia quasi quanto l'antica Roma. Ma le rimostranze per i lupanari erano già iniziate e quella fu una maniera dittatoriale per mettere a tacere qualsiasi recriminazione in merito.

Tutto era perfettamente organizzato: la toeletta, gli asciugamani in dotazione per potersi concedere l'igiene richiesta prima di usufruire dei servizi, e poi i prezzi, anche scontati, a seconda delle necessità del momento.
Ma sapete una cosa? Come accade oggi, con internet e i siti gratuiti  nei quali è possibile perdersi e trovare quel guizzo in più di cui alcuni hanno bisogno per "ritemprarsi", anche allora esisteva chi non aveva il denaro necessario per approfittare di quella che per noi, in epoca moderna, appare come una strana libertà sessuale. I cosiddetti "flanellatori", coloro che non pagavano, ma semplicemente sostavano nella "hall" del lupanare respirando il clima lezioso e lussurioso del luogo, ovviamente mal visti dalle varie gestrici che pretendevano l'obolo anche solo per guardare.
Ovvio no?
Ed ecco che una semplice ricerca su internet ci riporta di colpo a quegli anni, con pannelli e immagini così spinte, per come immaginiamo quell'epoca, da lasciarci stupiti e farci anche spuntare un sorriso di incredula ammirazione.
C'è chi dice che una volta le persone erano bigotte, che al giorno d'oggi si ha molta più libertà di allora... Ma sarà proprio così?



mercoledì 21 ottobre 2015

Da Belli a Baglioni, passando per Ostia e Maccarese

C'era una poesia del Belli, poi ripresa da Baglioni nella storica "Ninna nanna" che recitava:

Rivedremo ancora li sovrani
che se scambiano la stima
boni amichi come prima
so' cugini e fra parenti
nun se fanno i comprimenti
torneranno ancora più cordiali
li rapporti personali.

Senza l'ombra d'un rimorso
sai che ber discorso
ce faranno tutti insieme
su la pace e sur lavoro
pe' quer popolo cojone
risparmiato dar cannone.


Questi sono gli anni in cui si gettano le basi per il Regime che sarà. Mussolini dona al Re, il Re dona a Pacelli, futuro Papa (che sarà successivamente oggetto di critiche ferocissime in relazione al nazismo e al razzismo di cui si fece protagonista) il Papa dona al Duce.
Mentre fuori dall'Italia accadono magnificenze che faranno del mondo moderno una creatura più semplice, o più catastrofica, da vivere, il nostro paese si prepara alla dittatura, con il beneplacito dei paesi limitrofi, uno in particolare, che osservano e macchinano.
Ma, come ogni cosa, anche quel tipo di governo porta e apporta delle cose buone, migliorie e guizzi di modernità insperata. Una mia amica direbbe "tra tante boiaccate una azzeccata la deve pure fare" e così è Mussolini che, tra le altre cose, crea le città lavoro. Tra cui Latina. Tra cui Maccarese.
Maccarese. Strano nome, vero? Magari anche poco commerciale. Be', certo, non è Roma, insomma, o Lido di Ostia, ben più famoso per svariati motivi.
Ma Maccarese ha una storia: e che storia, ragazzi! La bonifica a opera dei contadini lombardi e veneti, i Rospigliosi, il castello, gli Albertaschi, l'agricoltura, la grande azienda operosa e competitiva...
Non ve lo aspettavate, eppure è così.
E io ho deciso di raccontarvela, questa storia, per fare in modo che un altro piccolo tassello di dignità e operosità si vada a incastrare in quel grande quadro che è la memoria.
Vi ho incuriositi?
Bene.
Viaggeremo insieme fino a scoprire Volevo solo te, e poi andremo oltre, perché la storia d'Italia, nel decennio che ha portato alla seconda grande guerra, è vasto e pieno di contraddizioni da raccontare...


lunedì 19 ottobre 2015

Viaggio in un passato ancora recente...

Cosa avvenne negli anni 30? Ci avete mai pensato? Seriamente, intendo.

Be', vi stupirà sapere che avvennero tantissime cose, molte delle quali decidettero gran parte della modernità che viviamo ancora adesso a distanza di più di 80 anni... Sembra quasi surreale, vero? Eppure nel lontano 1930 venne scoperto, per esempio, Plutone, lo stesso pianeta nano che qualche mese fa ha così tanto fatto parlare di sé. Il pianeta dal grande cuore bianco che ha fatto sognare milioni di romanticone, scalzando quasi, per un momento, il più celebre Venere e il suo messaggio d'amore.
Che coincidenze, non è vero?

E pensate, sempre nel 1930 fu disputato il primo mondiale di calcio. Organizzato dall'Uruguay e vinto anche dalla sua nazionale. Uhm... questa è una grande coincidenza, ma non impossibile.
E il primo musical a colori? Sempre del 1930. Il re del Jazz, prodotto dalla Universal.

Pensate che sia finita qui?
No, assolutamente.
Lovecraft, il microscopio elettrico, la prima donna a sorvolare l'Atlantico e tante altre che hanno combattuto per un emancipazione che con la guerra imminente si andrà a far benedire per tantissimo tempo ancora...

 Il decennio degli anni 30 ha segnato la storia, ha portato alla seconda guerra mondiale, ha deciso il destino di milioni di uomini...
E in tutto questo si colloca la storia di Flora e Fausto, il loro amore profumato di salsedine e illuminato dalla luce torrida del sole di agosto.

Volevo solo te non è solo un romanzo d'amore, non è solo un romanzo erotico.
Volevo solo te è ciò che siamo stati e che talvolta continuiamo a essere.

domenica 18 ottobre 2015

Da dove vieni? Maccarese... Cioè?

A chi mi chiede perché ho voluto scrivere un romanzo ambientato  Maccarese rispondo: perché non sai dov'è, perché non sai cos'è, perché non sai chi c'è.

Maccarese, fu Vaccarese, piccola cittadina del litorale romano, una delle aziende agricole potenzialmente più forti in Europa e terra di passaggio di numerose famiglie nobiliari, dagli Albertaschi ai Rospigliosi, è un colore, un odore, un sapore diverso da quello che conosci.

Città lavoro creata dal Duce, ma ben più antica del fascio; cugina in bonifica della più famosa Ostia, ancora sospesa tra antico e moderno.

Perché Volevo solo te è ambientato nel 1932 e a Maccarese?

Perché è lì che la mia storia d'amore è nata ed è lì che Flora e Fausto sono venuti a trovarmi, raccontandomi l'incanto di uno sguardo lungo il fiume Arrone...


sabato 11 luglio 2015

Questa settimana vorrei condividere con voi...

Una gioia! Sì, è uscito il mio nuovo romanzo. Avrete notato, no, che non c'è stato 'aggiornamento de Le ultime ore dell'Angelo. Ebbene, sono stata davvero troppo occupata per il lanci, lo ammetto, ma torno settimana prossima. Ma adesso permettetemi di presentarvi il mio piccolo gioiello di Luglio.  Edito da Rizzoli per la collana You Feel, arriva in tutti gli stores online:
SPLENDIDO COME IL SOLE DI TULUM

Come è stato per L'Istinto di una donna, anche questo è un libro che non solo sento molto, ma particolare perché in ogni caso legato, seppur in maniera molto più fresca e semplice, al mondo dell'omosessualità e alla voglia di dire che siamo tutti assolutamente uguali. Vi lascio la sinossi e il link di acquisto ad amazon, fermo restando che potrete trovarlo anche su tutti gli altri negozi online come Kobo, Ibs, Ituns, Googleplay e via discorrendo! Un bacio e che #tulum sia con noi per tutta l'estate torrida che ci sta soffocando!
Clicca qui per acquistare Splendido come il sole di Tulum

Fanny attende trepidante il momento del fatidico sì. Abbandonata appena nata e cresciuta senza affetti, ha finalmente la possibilità di essere felice e costruirsi una famiglia. Ma il matrimonio non si fa: Carlo, lo sposo, la lascia sull’altare e scardina ogni certezza costruita fino a quel momento. In pochi minuti, senza pensare troppo alle conseguenze e per non morire di dolore, Fanny decide di partire lo stesso per il Messico, meta del viaggio di nozze, chiedendo al suo grande amico Davide di accompagnarla. Non sa che lui aveva già pronte le valigie per fuggire dall'Italia e da una vita di solitudine affettiva, specialmente dopo il suo outing che lo aveva definitivamente allontanato da un padre bigotto e omofobo. Il viaggio spinge Fanny e Davide a iniziare un percorso interiore alla riscoperta di loro stessi. Alejandro e Rafael, due animatori del villaggio, sembrano incarnare le paure e le speranze di entrambi. Insieme a loro, Fanny e Davide capiranno davvero quali sono i loro sogni per il futuro. E l'amore li travolgerà, inaspettato, caldo e splendido come il sole di Tulum.
Una doppia storia d’amore che procede su due binari paralleli e diversi, con la forza che solo l’amore vero sa dare.