domenica 22 novembre 2015

Contro la violenza, tutti uniti il 25 Novembre... Solo?

Da un mese a questa parte sento parlare del 25 Novembre. Fino a un paio di anni fa quel giorno per me ha sempre voluto dire solo una cosa: regali, torta, me (sì, è il mo compleanno e scusate se è poco). Poi qualcuno ha deciso che il 25 Novembre sarebbe diventato il giorno internazionale della lotta alla violenza contro le donne. E mi sta benissimo, oltretutto per me è quasi un segno. Ho sempre combattuto contro questa piaga sociale che mi ha vista anche vittima, oltre che combattente, quindi mai coincidenza fu più gradita. Però... Però ce ne sono parecchi, di però.
Sono anni che sento persone esasperate dal giorno della festa della donna, ascoltando anche cose obbrobriose come "Aboliamo la festa!" "Non serve a nulla, è solo una cosa commerciale" e varie amenità simili.
Ho visto magliette, striscioni e compagnia cantando, in questo periodo, concorsi a tema e tanto altro, riguardante la giornata contro la violenza blablabla... Non è che tra un altro paio d'anni inizieranno, i soliti rompicoglioni (e perdonatemi, è così, sti guastafeste moralisti che stano sempre a puntare il dito e che mi chiedo se trombino mai, a volte) a gridare "La violenza non si combatte così, è una trovata commerciale e blablabla"? Non mi stupirebbe, ragazzi, tanto più che già sento la gente dire che il femminicidio è una pura invenzione dei media.
Dunque, dunque, facciamo chiarezza.
La violenza esiste, il femminicidio esiste (e non è che scompare se c'è o no una parola adatta al caso) come è una realtà il maschilismo ancora tristemente presente nella società occidentale (tanto perché noi siamo quelli con la cultura) ma c'è tanto altro, dietro, di cui non si parla mai. Forse è giunto il momento di sollevare la coperta dei luoghi comuni, e di ciò che ad alcuni fa comodo far passare, e andare in fondo alla questione. Perché non si parla mai delle mamme ancora costrette a licenziarsi (nonostante a tanti piaccia dire che no, noi l'abbiamo estirpata st'usanza, non succede più) o delle eterne stagiste che guardano gli altri far carriera. E vogliamo parlare della notizia tornata in auge qualche settimana fa degli stipendi che fanno ridere a parità di livello tra donne e uomini? Oppure, ancora, della violenza psicologica che le stesse donne perpetrano nei confronti delle altre se, poco poco, si permettono di andare in giro in mini il giorno della donna, magari per recarsi poi in un locale o in un ristorante? Voi non avete idea di che capitolo dovrei aprire in quel caso e ve lo risparmio semplicemente perché c'è una cosa che mi preme ancora di più dire.
Quante di voi, nella loro vita, hanno provato l'ebbrezza delle avances sul posto di lavoro? Quelle pressanti, quelle talmente scomode da essere difficili pure da declinare. Quelle in grado di far sentire sporche pur non avendo mai fatto nulla di male. Quelle che ti si attaccano dentro, come lo sguardo lubrico e viscido di chi non ha nulla da perdere se non un'altra pedina facilmente sostituibile.
Di questo non se ne parla mai, ma permettetemi: anche questa è violenza. E delle peggiori. Non solo perché rientra nella sfera della violenza psicologica, ma anche perché mina il diritto al lavoro, alla normalità, alla parità. 
E allora la D'Ascani ha deciso di mettersi in mezzo alla questione, come sempre nel suo piccolo, perché crede sia giusto offrire una panoramica di ciò che questa grandiosa società ci regala. Che società, no? In grado di seppellirti con una risata, quasi...
Vi offro uno spunto di riflessione, un momento dedicato alla crescita di un pensiero.
Vi offro Storia di una precaria comune, un breve racconto che spero, però, riesca a trasmettere cosa significa essere oggetto di attenzioni per nulla volute.
Credetemi, sono tante, troppe, quelle ancora trattate come Eva la peccatrice.
Ma Eva siete anche voi, sono anche io.
Eva era donna: ricordatevelo e fatelo per voi stesse, se non per le altre.


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