sabato 31 ottobre 2015

Oggi si festeggia Halloween, ma... a Roma la notte delle streghe era un'altra!

La notte delle streghe è arrivata... Ma ne siamo proprio sicuri?
Dolcetto o scherzetto... O lumache?


Ciò che negli ultimi anni, ma direi anche nell'ultimo secolo, si è perduto è il sapere, la conoscenza delle tradizioni nostrane. Lo spirito pagano che accompagna la notte della vigilia della festa di Ognissanti, ormai in tutto il mondo, è così simile a una festa romana perduta che il paragone è automatico, per chi sa. Non dimentichiamo, inoltre, che la festa di Halloween è una festa importata, americana (anche se dire anglosassone sarebbe più corretto) che fa eco a uno dei sabbah più importanti e che rimanda, quindi, a quell'epoca in cui i contadini festeggiavano la natura e non i santi.
Ma questa è una questione lunga che richiede altre pagine. Oggi voglio parlarvi di altro.

Voglio parlarvi della vera notte delle streghe. Quella che a Roma viene identificata, o veniva, con il
24 giugno, San Giovanni.
La notte in cui le vecchie nasute andavano in giro per la città a catturare anime. I cittadini si riversavano da ogni rione, già dalla sera della vigilia, nelle strade a far baccano con trombe e altri strumenti pur di scacciare le creature del diavolo e salvare se stessi e i propri cari. Ma non solo, è questa è la genialità di un tempo. Il frastuono provocato dai romani serviva per impaurire le streghe affinché non avessero modo di raccogliere le erbe necessarie ai loro incantesimi.


Il pellegrinaggio terminava in San Giovanni in Luterano per pregare e mangiare lumache nelle varie osterie. Sì, lumache. Perché forse oggi non molti lo sanno, ma era uno dei piatti forti della cucina romana. Quella vera. Quella dei nonni, ormai quasi perduta del tutto.
La festa poi proseguiva fino al giorno dopo e terminava nel momento in cui il papa si recava a San Giovanni per celebrare la messa e gettare monete d'oro e d'argento per la gioia della folla accorsa.



E il 31 Ottobre, direte voi? Cosa si faceva nella vigilia della festa di Ognissanti?
Semplicemente si commemoravano i morti, mangiando accanto alla tomba di un parente caro o andando, muniti di torce, sulle rive del Tevere a perpetuare il rito per tutte le anime perdute tra le acque del fiume.


Quante cose abbiamo perduto della tradizione?
Credo troppe...

Fonti e foto: Roma Sparita, Intrage.it, Turismoroma.it

mercoledì 28 ottobre 2015

L'emigrazione veneta

C'è stato un tempo in cui il Veneto era terra di migrazioni frequenti e Wikipedia recita che già prima dell'annessione al regno d'Italia lo fosse.
Molti non lo sanno, eppure è così. Scrivendo Volevo solo te ho scoperto cose talmente interessanti su questa popolazione (perché è il caso di cominciare a chiamarla così) che mai avrei immaginato. C'è, pensate, una città in Francia chiamata Vannes proprio in onore dei fondatori italiani. E ancora in Brasile, in America, in Germania, Svizzera, Ungheria... i veneti sono ovunque.
Scherzando a mio marito, tempo fa, dissi che sono come i Gremlins... Ricordate quel film fantasy di tanti anni fa? I simpatici esserini pucciosi si moltiplicavano a contatto con l'acqua... Be', ragazzi, è così: loro sono tra noi! Potete andare ovunque: un veneto vi avrà preceduto.
Perché?

Le motivazioni posso soltanto immaginarle, vivendo io stessa a stretto contatto con molti di loro. La serietà, la responsabilità e l'attaccamento alla famiglia e al lavoro, oltre che alla terra.
Ma c'è anche altro e questo ci riporta al contesto storico di cui ormai parliamo frequentemente. Dunque... veniamo a noi.Tra il 1932 e il 1939, mentre ancora molte zone di Maccarese risultavano paludose e soggette alla lunghissima opera di bonifica, circa 3000 famiglie giunsero nella Pianura pontina per lavorare e colonizzare la terra per volontà del Duce. Di queste quasi 3000 famiglie ben il 60% era veneto e non era una scelta casuale, ma ben ponderata da parte del regime. Si aveva infatti la necessità di immettere una popolazione con comprovata vitalità e prolificità e la regione che meglio si sposava con queste esigenze era appunto quella veneta.

All'epoca si aveva una costante lotta all'urbanesimo, guerra voluta dal Duce per evitare la prolificazione di borghi, per diminuire i costi portati da una città numerosa e, in generale, per garantire il ruolo solitario e lavoratore del contadino medio. Questo significa che quando giunsero queste famiglie in pianura, la vita non fu per nulla semplice. Le case erano decisamente lontane le une dalle altre, non c'era quasi nulla e quel poco era determinato dal duro lavoro. Insomma, un sorta di incubo che nell'intero agropontino vide la realizzazione di vere e proprie città lavoro.
Sapete che qui a Maccarese gli effetti della bonifica sono ancora ben visibili e presenti? Se dovesse accadere, per caso, che le idrovore utilizzate all'epoca, e modernizzate certo, cessassero di lavorare, in pochi mesi si avrebbe lo stesso scenario che quelle famiglie trovarono al loro arrivo qui. Assurdo vero? Eppure affascinante...


Comunque, per la cronaca, esistono associazioni di Veneti nel mondo e addirittura Onlus e quelli all'estero hanno combattuto per veder riconosciuta la lingua veneta antica, da loro ancora parlata, accettata dalla regione nel 2007. Se pensavo che solo a Maccarese ci fosse una situazione simile, sbagliavo!
Una domanda sorge spontanea: ma quanti saranno mai?

lunedì 26 ottobre 2015

L'Italia del Duce e il Nord al Sud

C'è una cosa comune nella visione idilliaca del fascismo e del nazismo e questa cosa rese quasi folli i rispettivi capi di governo, perché galvanizzati da un'idea talmente grande di città da essere scambiati facilmente per esaltati. Questa nota che metteva in relazione le due dittature si riassumeva in una sola parola: Roma. Della serie: l'impero romano colpisce ancora.
Ah, questi romani, conquistatori grandi e forti, colonizzatori indiscussi e dall'architettura che ancora oggi resiste in varie parti del mondo.

Ovviamente, se si deve essere grandi, si cerca di ispirarsi ai migliori: gliene fareste un torto a quei due lì? Assolutamente. Ciò che interessa le città lavoro e l'architettura che Gentile chiamò "fascismo di pietra" è ciò che forse più di tutto decretò il positivo di quel governo passato di cui ancora notiamo gli effetti oggi. In Italia, per lo meno. Della Germania, adesso, poco ce ne importa.


Il Duce, appena insediatosi, iniziò subito a promulgare le sue personali visioni di gloria e grandezza e bisogna riconoscergli il merito del carisma e dell'effettiva laboriosità della sua mente che in effetti concretizzò un bel po' di cose per tutta la penisola. Tra palazzi, istituzioni, leggi innovative (ragazzi, gli va riconosciuto) ci furono anche le cosiddette città lavoro di cui si parlava poc'anzi. In un paese "alla frutta" la creazione di lavoro era vista come un miracolo. Be', ne sappiamo qualcosa di questi tempi, no? Eppure non crediate che le motivazioni del Duce fossero così nobili. Lui voleva una colonizzazione del suolo urbano, dichiarando di fatto guerra alla Roma reale che fino a quel momento era rimasta inerte a osservare il paese uscire dalla Grande Guerra. In rotta anche contro l'urbanizzazione eccessiva, specialmente quella che aveva visto la popolazione rurale riversarsi nelle città, decretando quindi, secondo il regime, un abbassamento della natalità oltre che il dispendio ulteriore di fondi per la creazione di nuove scuole, chiese, ospedali, il Duce promulgò l'importanza della terra e del lavoro nei campi. Una novella Rossella O'Hara italiana con la terra di Littoria tra le mani e lo sguardo perso verso l'orizzonte, insomma.

Fu così, proprio così, che numerose cittadine videro la luce, vedendo il trasferimento dell'intero Nord al Sud e quasi mai viceversa. Tra tutte, molta risonanza, anche mediatica, la ebbe la "Pentapoli" pontina, costituita da: Littoria, Sabaudia, Pontina, Aprilia e Pomezia.
Rifacendosi al modello ostiense di bonifica, per mano soprattutto dei Ravennati, il Duce dispose vere e proprie città lavoro che qui dove abito io si tradussero principalmente nell' Azienda di Maccarese. Quasi tutti veneti e lombardi, con una spruzzata di abruzzesi qui e lì (a Fiumicino, per esempio, sono tantissimi i napoletani) i contadini assunti rivoltarono e abitarono queste terre, dando vita alle città che tutt'ora viviamo.

E quando dico che le viviamo ancora oggi, intendo dire che in molti posti sembra essere rimasti cristallizzati agli anni 30. Come a Maccarese, paese in cui di romani romanacci ce ne sono ben pochi. Strano, vero? Eppure nessuno lo sa. E mi viene da ridere quando si parla di differenza tra nord e sud, tra la metodologia di lavoro propria dell'Italia del meridione, del mezzogiorno e del settentrione perché, proprio qui, c'è un raccordo di tutte le parti della penisola ed è proprio questo che rende grande e particolare questa realtà.
Adesso capite perché ho voluto scrivere Volevo solo te?
  

giovedì 22 ottobre 2015

I lupanari... i luoghi di perdizione dell'Italia di una volta

Secondo voi è proprio vero il detto "si stava meglio quando si stava peggio"?
Non lo so, ma so di certo che le persone che "bazzicavano" gli anni 30 lo avrebbero pensato. Per la libertà che si respirava. Ovviamente parlo di quella maschile. Il femminismo iniziava le sue strenue lotte, ma con l'avvento del fascismo era sedato e ridimensionato a ogni tentativo di protesta.
E veniamo a noi...
I lupanari, le famose case chiuse.
Ovviamente non erano presenti solo a Roma e, forse, i più famosi luoghi di perdizione non erano neanche propri della capitale, eppure erano una solida realtà, pronta a realizzare i sogni dei giovanotti "di primo pelo" e distendere i pensieri dei signori più "maturi". E, per quanto recarsi in quelle case non fosse uso rispettoso verso la moglie, era pratica normale frequentarli, oltretutto ben più antica degli anni 30, come sappiamo. D'altronde non si è forse sempre detto che la meretrice è il mestiere più antico del mondo? Caligola lo sa bene!


A Roma erano in voga i bordelli de la Suburra, oppure nei dintorni del Circo Massimo, ma ce n'erano di minori sparsi per tutti i quartieri della città. Sapete perché si chiamavano bordelli? Perché inizialmente erano luoghi costituiti in villini situati ai bordi della città. Sotto il periodo del fascio, Mussolini dispose che attorno a ognuno di essi venisse eretto un muro, detto "del pudore", non più alto di dieci metri: piccolo paravento per una pratica vecchia quasi quanto l'antica Roma. Ma le rimostranze per i lupanari erano già iniziate e quella fu una maniera dittatoriale per mettere a tacere qualsiasi recriminazione in merito.

Tutto era perfettamente organizzato: la toeletta, gli asciugamani in dotazione per potersi concedere l'igiene richiesta prima di usufruire dei servizi, e poi i prezzi, anche scontati, a seconda delle necessità del momento.
Ma sapete una cosa? Come accade oggi, con internet e i siti gratuiti  nei quali è possibile perdersi e trovare quel guizzo in più di cui alcuni hanno bisogno per "ritemprarsi", anche allora esisteva chi non aveva il denaro necessario per approfittare di quella che per noi, in epoca moderna, appare come una strana libertà sessuale. I cosiddetti "flanellatori", coloro che non pagavano, ma semplicemente sostavano nella "hall" del lupanare respirando il clima lezioso e lussurioso del luogo, ovviamente mal visti dalle varie gestrici che pretendevano l'obolo anche solo per guardare.
Ovvio no?
Ed ecco che una semplice ricerca su internet ci riporta di colpo a quegli anni, con pannelli e immagini così spinte, per come immaginiamo quell'epoca, da lasciarci stupiti e farci anche spuntare un sorriso di incredula ammirazione.
C'è chi dice che una volta le persone erano bigotte, che al giorno d'oggi si ha molta più libertà di allora... Ma sarà proprio così?



mercoledì 21 ottobre 2015

Da Belli a Baglioni, passando per Ostia e Maccarese

C'era una poesia del Belli, poi ripresa da Baglioni nella storica "Ninna nanna" che recitava:

Rivedremo ancora li sovrani
che se scambiano la stima
boni amichi come prima
so' cugini e fra parenti
nun se fanno i comprimenti
torneranno ancora più cordiali
li rapporti personali.

Senza l'ombra d'un rimorso
sai che ber discorso
ce faranno tutti insieme
su la pace e sur lavoro
pe' quer popolo cojone
risparmiato dar cannone.


Questi sono gli anni in cui si gettano le basi per il Regime che sarà. Mussolini dona al Re, il Re dona a Pacelli, futuro Papa (che sarà successivamente oggetto di critiche ferocissime in relazione al nazismo e al razzismo di cui si fece protagonista) il Papa dona al Duce.
Mentre fuori dall'Italia accadono magnificenze che faranno del mondo moderno una creatura più semplice, o più catastrofica, da vivere, il nostro paese si prepara alla dittatura, con il beneplacito dei paesi limitrofi, uno in particolare, che osservano e macchinano.
Ma, come ogni cosa, anche quel tipo di governo porta e apporta delle cose buone, migliorie e guizzi di modernità insperata. Una mia amica direbbe "tra tante boiaccate una azzeccata la deve pure fare" e così è Mussolini che, tra le altre cose, crea le città lavoro. Tra cui Latina. Tra cui Maccarese.
Maccarese. Strano nome, vero? Magari anche poco commerciale. Be', certo, non è Roma, insomma, o Lido di Ostia, ben più famoso per svariati motivi.
Ma Maccarese ha una storia: e che storia, ragazzi! La bonifica a opera dei contadini lombardi e veneti, i Rospigliosi, il castello, gli Albertaschi, l'agricoltura, la grande azienda operosa e competitiva...
Non ve lo aspettavate, eppure è così.
E io ho deciso di raccontarvela, questa storia, per fare in modo che un altro piccolo tassello di dignità e operosità si vada a incastrare in quel grande quadro che è la memoria.
Vi ho incuriositi?
Bene.
Viaggeremo insieme fino a scoprire Volevo solo te, e poi andremo oltre, perché la storia d'Italia, nel decennio che ha portato alla seconda grande guerra, è vasto e pieno di contraddizioni da raccontare...


lunedì 19 ottobre 2015

Viaggio in un passato ancora recente...

Cosa avvenne negli anni 30? Ci avete mai pensato? Seriamente, intendo.

Be', vi stupirà sapere che avvennero tantissime cose, molte delle quali decidettero gran parte della modernità che viviamo ancora adesso a distanza di più di 80 anni... Sembra quasi surreale, vero? Eppure nel lontano 1930 venne scoperto, per esempio, Plutone, lo stesso pianeta nano che qualche mese fa ha così tanto fatto parlare di sé. Il pianeta dal grande cuore bianco che ha fatto sognare milioni di romanticone, scalzando quasi, per un momento, il più celebre Venere e il suo messaggio d'amore.
Che coincidenze, non è vero?

E pensate, sempre nel 1930 fu disputato il primo mondiale di calcio. Organizzato dall'Uruguay e vinto anche dalla sua nazionale. Uhm... questa è una grande coincidenza, ma non impossibile.
E il primo musical a colori? Sempre del 1930. Il re del Jazz, prodotto dalla Universal.

Pensate che sia finita qui?
No, assolutamente.
Lovecraft, il microscopio elettrico, la prima donna a sorvolare l'Atlantico e tante altre che hanno combattuto per un emancipazione che con la guerra imminente si andrà a far benedire per tantissimo tempo ancora...

 Il decennio degli anni 30 ha segnato la storia, ha portato alla seconda guerra mondiale, ha deciso il destino di milioni di uomini...
E in tutto questo si colloca la storia di Flora e Fausto, il loro amore profumato di salsedine e illuminato dalla luce torrida del sole di agosto.

Volevo solo te non è solo un romanzo d'amore, non è solo un romanzo erotico.
Volevo solo te è ciò che siamo stati e che talvolta continuiamo a essere.

domenica 18 ottobre 2015

Da dove vieni? Maccarese... Cioè?

A chi mi chiede perché ho voluto scrivere un romanzo ambientato  Maccarese rispondo: perché non sai dov'è, perché non sai cos'è, perché non sai chi c'è.

Maccarese, fu Vaccarese, piccola cittadina del litorale romano, una delle aziende agricole potenzialmente più forti in Europa e terra di passaggio di numerose famiglie nobiliari, dagli Albertaschi ai Rospigliosi, è un colore, un odore, un sapore diverso da quello che conosci.

Città lavoro creata dal Duce, ma ben più antica del fascio; cugina in bonifica della più famosa Ostia, ancora sospesa tra antico e moderno.

Perché Volevo solo te è ambientato nel 1932 e a Maccarese?

Perché è lì che la mia storia d'amore è nata ed è lì che Flora e Fausto sono venuti a trovarmi, raccontandomi l'incanto di uno sguardo lungo il fiume Arrone...